La galera di Galan che non confessa
In barba alle norme sulla custodia cautelare, due mesi di tortura
Dal 22 luglio, quando fu arrestato e trasferito in ambulanza, poiché era debilitato a causa di un incidente, nel carcere di Opera, Giancarlo Galan è privo della libertà personale. In custodia cautelare, come si suol dire. La custodia cautelare è consentita dal nostro ordinamento solo per specifiche ragioni: rischio di manomissione delle prove o di ripetizione del reato, oltre al pericolo di fuga. Non esiste nessuna di queste ragioni per mantenere le misure afflittive nei confronti di Galan, che peraltro pare sia fortemente sofferente dal punto di vista sanitario. Però Galan non ha confessato i reati che gli vengono contestati, continua a negare di essere stato al centro della colossale ragnatela corruttiva costruita attorno al Mose veneziano che gli addebitano.
Il codice di procedura consente agli imputati di non autoaccusarsi, e persino di mentire senza subire conseguenze. Soprattutto non prevede l’uso della carcerazione preventiva come strumento di pressione, per non dire di tortura, per estorcere confessioni. Come soggetto politico, l’ex ministro e presidente del Veneto risulta oggi piuttosto isolato politicamente, non si sono sentite voci a sua difesa e il suo caso sembra dimenticato anche dai suoi antichi sostenitori. Questa circostanza forse induce la magistratura a non usare alcun riguardo. Ma lasciare un cittadino, benché uomo politico, a marcire agli arresti, magari anche solo per indolenza o pigrizia, magari perché le ferie dei magistrati hanno impedito di esaminare tempestivamente le richieste di cessazione delle misure cautelari, dovrebbe indignare persino i parlamentari che hanno votato vergognosamente per consentirne l’arresto.
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