Passeggiate romane
Il piano degli anti renziani per far cadere Renzi sull'articolo 18
In comichese si chiama tafazzismo. In sinistrese si chiama autolesionismo. Nell’anno di grazia 2014 è la pulsione che spinge i nemici (o, meglio, certi nemici, di Matteo Renzi) a preferirgli un governo simil Monti che non si limiti a chiedere aiuto all’Europa ma chieda direttamente la linea dall’Europa per farsi dettare i compiti a casa.
In comichese si chiama tafazzismo. In sinistrese si chiama autolesionismo. Nell’anno di grazia 2014 è la pulsione che spinge i nemici (o, meglio, certi nemici, di Matteo Renzi) a preferirgli un governo simil Monti che non si limiti a chiedere aiuto all’Europa ma chieda direttamente la linea dall’Europa per farsi dettare i compiti a casa. Dopodichè, l’omaggio auspicato è uno strapuntino al tavolo dei grandi, una foto tra i leader d’Europa dove il nostro paese faccia la sua figura. A Bersani basta anche quella in maniche di camicia, vicino a Sanchez o Valls, a Berlusconi non dispiacerebbe una ennesima foto con la Merkel.
L’affetto del Cavaliere. Ma non è di questo che si sta parlando, naturalmente, perché il male di cui si discute rode la sinistra. Per questa ragione Silvio Berlusconi, alla fine della festa, nello stupore di tutti, sembra anche troppo affettuoso nei confronti di Matteo Renzi al contrario dei compagni di partito del premier. Il Cavaliere ha già dato nei confronti dell’Europa e non ha voglia alcuna di ripetere l’esperimento.
[**Video_box_2**]L’altro governo. Pier Luigi Bersani, invece, pur di vedere sistemato una volta per tutte l’avversario che lo battuto alle primarie, si accontenterebbe di un posto di ministro in un futuribile governo tecnico, magari in un governo Visco, di quel Visco di cui un esponente dell’esecutivo Monti ebbe a dire compiaciuto: “Quando il partito lo chiama, lui c’è”. Almeno questo raccontano i detrattori di Bersani (e la storia del governo Visco, ovviamente, è più un pettegolezzo di palazzo che una possibilità concreta) Ovviamente lui nega. E spiega di sostenere lealmente una battaglia a fianco dei lavoratori. Ma è su questa battaglia contro la revisione dell’articolo 18 e sul Jobs Act che si innesta il tentativo di fare fuori il governo Renzi. L’idea è semplice: far fallire il premier e di fronte al suo tentativo di andare alle elezioni porgli un altolà. Già perché a quel punto che farebbe il suo partito? O almeno la maggior parte del suo gruppo parlamentare che è stato nominato da Bersani? Direbbe no al voto, ribellandosi alla volontà del segretario. E che farebbe Berlusconi, che pure con Renzi ha stretto un rapporto vero? Correrebbe forse il rischio di andare alle urne facendo un bagno elettorale? Ovvio che no. E così l’Italia, per l’ennesima volta, avrebbe un governo senza legittimazione popolare. Anzi, per essere più precisi un governo tecnico in cui il Pd non giocherebbe più il ruolo da protagonista ma da comprimario. Fantapolitica? Fino a un certo punto se è vero, come è vero, che i sonni del presidente del Consiglio non sono più tanto tranquilli da quando si è aperta questa prospettiva.
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