François Hollande e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Diverse rivalutazioni del pil

Redazione

Renzi non cede alle sirene statistiche, Hollande invece s’adagia

La rivalutazione del pil italiano del 2011 e del 2013 di circa il 3,8 per cento annuo, comunicata dall’Istat, ha avuto un effetto benefico per i nostri conti pubblici: ha migliorato il dato del deficit dei primi nove mesi riducendolo al 2,8, quindi più vicino al traguardo richiesto da Bruxelles per rispettare la riduzione del disavanzo per quest’anno. Poiché il ricalcolo accresce il pil del 2015 e degli anni a venire di un’analoga percentuale, sarà anche un poco più facile reperire le risorse per la Legge di stabilità dei prossimi anni. Inoltre – è questa la notizia più rilevante forse – il rapporto debito/pil del 132,6 per cento si ridimensiona al 127,9 (meno 4,7 punti). Finora il nostro governo però non ha voluto dare risalto a questa notizia e Matteo Renzi dalla California ha lanciato un messaggio drastico: la necessità di un cambiamento integrale che coinvolga non solo il tema del lavoro, ma l’intero programma di riforme strutturali necessario per riportare l’Italia alla crescita.

 

Un silenzio notevole, soprattutto se affiancato al solito pietismo francese sui conti pubblici. Il presidente socialista François Hollande utilizza la rivalutazione del pil, effettuata anche dalla Francia come nel resto dell’Ue sulla base dei nuovi criteri di contabilità stabiliti da Eurostat, per chiedere una deroga al rientro del deficit onde alimentare la crescita con un aumento della domanda globale. Renzi, che si smarca sempre più da quella sinistra aggrappata alle terapie tardo keynesiane, è invece in sintonia con il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, il quale ha detto che la politica monetaria, da sola, non basta per crescere. Nessun ascolto a chi invoca relax sui conti.