Corrado Passera (foto LaPresse)

Non Passera lo straniero

Redazione

Perché l’ex ministro montiano farebbe bene a lasciar stare la politica

Nulla di personale, ci mancherebbe altro. L’uomo è mite e ha una sua eleganza. Il banchiere è (stato) di sistema, scuola McKinsey e rango Intesa, dalla sua ha molte operazioni di buon cabotaggio industriale e giusto qualche peccatuccio da espiare – in comune con altri capitani privati dell’albo d’oro statalista – nello sbilenco salvataggio di Alitalia improvvisato (a spese nostre) nel 2008, con Berlusconi al timone. Il tecnico non fu nemmeno malaccio, l’Italia raccolta da Mario Monti alla fine del 2011 era una nave senza rotta e compulsivamente esposta alla pirateria della speculazione finanziaria. Non verrà ricordato come un tecnocrate rivoluzionario al ministero dello Sviluppo, va bene, ma c’è senz’altro chi ha fatto peggio di lui.

 

Insomma il problema non è il cursus honorum alle spalle, il guaio sta nei sogni dentro il cassetto, ormai svuotato purtroppo: Corrado Passera s’è messo in testa di avere un appeal e un futuro da politico, ha investito parecchi quattrini, s’è fatto una fondazione partito (Italia Unica), ha scritto un libro-manifesto (“Io siamo”, il dio delle concordanze lo perdona), organizza convegni, fa promesse stellari (400 miliardi di euro da mobilitare qui e ora per la ripresa), si considera un Berlusconi meglio riuscito o un Montezemolo con più pensieri da espettorare. Esige di esserci, Passera, ma lo fa in un modo incongruo, verboso, con una faccia troppo slavata per uscire dal fermo immagine del rassicurante commercialista. La politica, dopotutto, è un affare complicato e fangoso, premia i semplificatori, esalta i demagoghi; purché scintillino un po’. La vanità non basta.

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