De Magistris e la fine dei manettari
Il caso dell'ex paladino della legalità che, condannato, si ribella alla legge e non si dimette da sindaco, insulta i giudici e invoca la piazza.
Luigi De Magistris, nato a Napoli il 20 giugno 1967, sposato con Mariateresa, due figli, ex magistrato oggi sindaco di Napoli, è stato condannato mercoledì 24 settembre in primo grado a un anno e tre mesi di reclusione per abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta Why Not.
De Magistris, che al tempo dell’inchiesta era pubblico ministero a Catanzaro, avrebbe ottenuto illegittimamente i tabulati telefonici di alcuni parlamentari, senza averne l’autorizzazione: per lui e per Gioacchino Genchi, consulente informatico, è stata anche decisa l’interdizione dai pubblici uffici per un anno, con la condizionale (pena sospesa).
Le reazioni di De Magistris alla condanna: «Se mi sospenderanno farò il sindaco in mezzo alla gente, scenderò in strada e starò con i cittadini» (a Daniele Del Porto); «Qui ci sono persone che si nascondono dietro le vesti dello Stato, ma sono più criminali di quelli che stanno nelle gabbie. Mi chiedono di dimettermi, ma guardandosi allo specchio e provando vergogna devono dimettersi quei giudici. Siamo di fronte a uno Stato profondamente corrotto» (parlando in Consiglio comunale venerdì scorso) [1].
L’inchiesta Why Not si è conclusa lo scorso ottobre con l’assoluzione in Cassazione di tutti i principali imputati: fu l’inchiesta più famosa di De Magistris e contribuì alla caduta del governo Prodi nel gennaio del 2008. Riguardava la gestione dei fondi pubblici della Calabria.
Nell’inchiesta Why Not finirono sotto indagine tra gli altri il presidente del Consiglio Romano Prodi, l’allora presidente della Calabria Agazio Loiero e l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella. Le indagini si chiusero alla fine del 2008, quando per Prodi e Mastella la procura generale chiese l’archiviazione: non c’erano elementi sufficienti nemmeno per arrivare ad aprire il processo. Nel frattempo l’inchiesta era stata tolta a De Magistris, spostato da Catanzaro a Napoli, e presa d’autorità dalla procura generale di Catanzaro. Ne seguì un conflitto tra procure [2].
L’abuso d’ufficio per cui è ora stato condannato De Magistris non si riferisce alle intercettazioni effettuate nel corso dell’inchiesta Why Not, ma solo ai tabulati telefonici. Marco Travaglio: «Nel 2007, su mandato del pm De Magistris, Genchi acquisì dalle compagnie telefoniche i dati su centinaia di tabulati, incappando anche in quelli di cellulari in uso, secondo l’accusa, a 8 parlamentari (Prodi, Mastella, Rutelli, Pisanu, Gozi, Minniti, Gentile, Pittelli). Di qui l’accusa di averli acquisiti senz’avere prima chiesto al Parlamento il permesso di usarli, violando la legge Boato e l’immunità dei suddetti» [3].
Il processo potrebbe non arrivare a una sentenza definitiva: i fatti contestati risalgono all’aprile 2007, è quindi concreto il rischio prescrizione. Guido Ruotolo: «La difesa nel processo di De Magistris lascia senza fiato. Sarà stata solo una scelta processuale, ma che l’ex pm di Catanzaro ammetta di non aver esercitato alcun controllo sulla attività di un consulente è allarmante. Sin dall’incarico affidato al dottor Gioacchino Genchi: “Lo schema di incarico di consulenza mi fu sostanzialmente dato da lui che mi disse: ‘Questo è il tipo di incarico che in genere mi viene dato dai suoi colleghi di altre procure’”» [4].
Dopo la condanna, il sindaco di Napoli ha due problemi. Il primo è giuridico: la legge Severino, varata nel 2013, prevede in questi casi la sospensione dalla carica (articolo 11). Il secondo è politico: la condanna, ancorché riferita alla sua carriera di magistrato – chiusa per entrare in politica – lo indebolisce ulteriormente in un quadro di instabilità amministrativa [5].
Travaglio: «De Magistris deve lasciare la carica di sindaco di Napoli. Perché è giusto così e perché la legge Severino stabilisce la sospensione senza possibilità di scappatoie. Sono decine i consiglieri regionali, provinciali e comunali sospesi o rimossi per una condanna in primo grado o per una misura cautelare. E la legge è uguale per tutti, come De Magistris ben sa, avendo fatto della Costituzione il faro della sua vita professionale, prima da pm e poi da sindaco» [3].
Tra meno di due anni a Napoli si torna alle urne, la sospensione di De Magistris equivarrebbe a uno sfratto. Lui si prepara a impugnare in appello la condanna, ma intanto il prefetto, appena avrà ricevuto gli atti, potrà sospenderlo. E dopo? Contro il provvedimento si può ricorrere al Tar [1].
Formalmente se de Magistris venisse sospeso non cambierebbe nulla: il Consiglio comunale rimarrebbe in carica e il voto bilancio del Comune ci sarebbe comunque [6].
«Se non se ne va di sua spontanea volontà, penserà il prefetto a sospenderlo appena riceverà gli atti dal Tribunale. Sospeso il sindaco, il ministro dell’Interno manderà a Napoli un commissario. Il commissario gestirà l’ordinaria amministrazione e indirà al più presto nuove elezioni. Tra un storia e l’altra, si potrebbe arrivare ad aprile, quando si dovrà votare per la Regione. Comune di Napoli e Regione Campania. Due match tutti da vedere, anche per le sottocomplicazioni renziane, vale a dire potere centrale contro poteri locali, patto del Nazareno magari in azione, voglio dire: Renzi che lascia la Regione a Berlusconi e chiede l’appoggio del centro-destra al Comune o probabilmente l’inverso, con De Luca (Pd) in corsa per la Regione e magari Lettieri (lista civica) per il Comune...» (Giorgio Dell’Arti) [7].
«Il 30 maggio 2011 De Magistris diventa sindaco di Napoli, lasciamo perdere come e perché. Il suo motto è subito questo: rivoluzione. Si tratta di capire cosa è successo nei successivi due anni e mezzo. Parliamo di un sindaco pluricommissariato, privo di una maggioranza stabile, privo di un partito, privo di un movimento, privo di un consenso» (Filippo Facci) [8].
[**Video_box_2**]Giuseppe Salvaggiulo: «Un sindaco popolare e politicamente solido avrebbe buoni argomenti per approntare uno scudo efficace: la vicenda giudiziaria non c’entra con il ruolo di sindaco né con la città; la sentenza è tutt’altro che granitica, sia a livello di prove che di configurazione del reato. Ma De Magistris da tempo ha smarrito popolarità (un anno fa, la lista Rivoluzione Civile da lui sostenuta prese a Napoli un misero 3,7%) e solidità politica. In tre anni, ha perso dieci assessori sui dodici della prima “giunta arancione” e otto consiglieri comunali di una maggioranza ormai risicatissima (25 voti su 49)» [5].
Francesco Merlo: «“Io sono figlio di magistrato e nipote di magistrato” ricordava sino all’altro ieri l’ex magistrato che divenne famoso perché allargava così tanto le indagini da renderle inoffensive ma molto rumorose. “Ha fatto ’o pireto cchiù ddò culo” dicono ora a Napoli, e sarebbe una reazione ingenerosa se non fosse la traduzione ironica delle lodi con cui l’ex giudice si imbroda: “sono un enorme plusvalore”, “sono sicuro di essere stato un ottimo magistrato”» [9].
Cesare Martinetti: «De Magistris è uno di quei personaggi la cui popolarità si deve a una distorsione tutta italiana che nasce dalla sensazione diffusa di vivere in un Paese con un tasso di ingiustizia insanabile dalla naturale fisiologia istituzionale e che richiede l’intervento di attori eccezionali che rompano la crosta dell’impunità (…) Le parole resistere o resistenza vanno maneggiate con molta cura. Ora, che il sindaco di Napoli parli di “resistenza” e di “lotta per la giustizia” per difendere la sua poltrona, è inaccettabile. È stato eletto sulla spinta di una popolarità ottenuta su inchieste costruite su abusi che sono stati accertati dal tribunale» [10].
Ricorda Sara Menafra che «sul rapporto dei politici con le dimissioni, l’ex pm per anni è stato spietato. Ad esempio quando nel 2010, durante l’inchiesta P3 a Roma, Denis Verdini decide di abbandonare la banca che guida. De Magistris nel frattempo è diventato parlamentare europeo: “Queste dimissioni non destano grandi sentimenti – dice –. Ben diverso se avesse scelto di lasciare l'incarico che riveste nel Pdl”. Stessa reazione un anno dopo, quando si scopre che Silvio Berlusconi è indagato per il caso Ruby, De Magistris è tra i primissimi a chiedere dimissioni immediate» [11].
«De Magistris è un prodotto televisivo di Santoro che ne intuì e ne valorizzò la natura di Masaniello: “sparami ’n pietto” è un uno dei suoi soprannomi, il petto in fuori e il coraggio virile del guappo, ma di buona famiglia. E infatti “guappo e mammete” è l’ennesimo nomignolo divertito, e forse perché quelle frasi narcise – “sono bello, piaccio alle donne, è un fatto che sta lì, oggettivamente lo constato” - solo le mamme del Vomero riescono a imprimerle nella psicologia di un figlio» (Merlo) [9].
«È il cuore dell’ideologia giustizialista a essere colpito. Vent’anni di ideologia che trovano la metafora del loro esaurirsi in un sindaco che si appella alla “strada” in antitesi alle istituzioni. Qualsiasi decisione verrà presa, resta il vulnus a un’immagine e a una retorica. Vent’anni che non potevano finire nel modo peggiore» (Pierluigi Battista) [12].
Note: [1] Dario Del Porto, la Repubblica 26/9; [2] Il Post 26/9; [3] Marco Travaglio, il Fatto 26/9; [4] Guido Ruotolo, La Stampa 27/9; [5] Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa 26/9; [6] Fulvio Bufi, Corriere della Sera 27/9; [7] Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 27/9; [8] Filippo Facci, Libero 27/9; [9] Francesco Merlo, la Repubblica 27/9; [10] Cesare Martinetti, La Stampa 26/9; [11] Sara Menafra, Il Messaggero 27/9; [12] Pierluigi Battista, Corriere della Sera 27/9.
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