Manifestanti a Hong Kong (foto Ap)

Xi è davanti al dilemma di Hong Kong, ma ha i soldati pronti

Redazione

A quasi una settimana dall’inizio dell’occupazione da parte degli studenti e al secondo giorno di calma dopo gli scontri di domenica tra i manifestanti e la polizia, la gente in strada era più dei giorni scorsi e si prevede che oggi aumenterà ancora (e la reazione della polizia potrebbe tornare a essere violenta).

Roma. Quando ieri a Hong Kong si stava facendo sera, e le decine di migliaia di manifestanti pro democrazia che occupano da giorni il distretto finanziario della città accendevano in massa le luci dei telefonini per illuminare le strade (poi hanno riaperto gli ombrelli, questa volta non per difendersi dagli spray urticanti della polizia ma dalla pioggia), Leung Chun-ying, il capo dell’esecutivo di Hong Kong, uomo di Pechino chiamato “mister 689” perché eletto con 689 voti da un’assemblea di meno di 1.200 persone, riconosceva che Occupy Central potrebbe resistere “per molto tempo”. A quasi una settimana dall’inizio dell’occupazione da parte degli studenti e al secondo giorno di calma dopo gli scontri di domenica tra i manifestanti e la polizia, la gente in strada era più dei giorni scorsi e tutti prevedono che oggi, il primo giorno delle vacanze per la festa nazionale cinese, aumenterà ancora – e la reazione della polizia potrebbe tornare a essere violenta.

 

Una protesta che resiste “molto tempo” è la peggiore delle ipotesi per il presidente cinese Xi Jinping e per il governo di Hong Kong, che con la repressione violenta di domenica avevano cercato di porre fine all’occupazione della città in tempi rapidi, ma che hanno ottenuto il risultato di radicalizzare la piazza e convincere molti a unirsi ai manifestanti. Adesso ogni giorno che passa, benché la censura del governo sia strettissima e in Cina i cittadini si siano accorti a mala pena dei tumulti nell’ex colonia (domenica è stato il giorno più censurato dell’anno, ha scritto Foreign Policy), aumenta il rischio che nonostante le precauzioni Hong Kong diventi un esempio per nuove rivolte contro il regime comunista – esattamente quello che Xi e il Partito vogliono evitare. Le prime conseguenze delle manifestazioni di Hong Kong si sentono a Taiwan, che Pechino sperava di riportare sotto il suo dominio con la stessa formula di “uno stato, due sistemi” che regola il rapporto con Hong Kong, territorio cinese dove la stampa è relativamente libera e i diritti sono rispettati. Gli eventi degli ultimi mesi però hanno mostrato che Pechino non intende rispettare i “due sistemi”. Ieri il premier e il presidente di Taiwan hanno annunciato il loro sostegno ai manifestanti di Hong Kong, e i progetti di riunificazione sono sembrati sfumare.

 

[**Video_box_2**]Così per Xi Jinping e il governo di Pechino Hong Kong rappresenta un dilemma. Venire incontro alle richieste dei manifestanti (suffragio universale e rispetto della “basic law”, la Costituzione) è fuori questione. Xi è sempre stato molto chiaro sul fatto che la democrazia “di tipo occidentale” non metterà mai piede in Cina, e che la riforma politica di Hong Kong avverrà in una “maniera adatta” alla città. Accontentare i manifestanti, inoltre, significherebbe dare un segnale di debolezza e Xi, che aspira a essere il leader cinese più forte dai tempi di Deng Xiaoping ed è impegnato in un grande progetto di riforma e di lotta alla corruzione, non si può permettere cedimenti. Ma reprimere la protesta con la forza, ora che l’occupazione a Hong Kong è così estesa, richiederebbe una violenza “dello stesso livello del massacro del 1989 a piazza Tiananmen”, scrive il New York Times. Le conseguenze in Cina e all’estero sarebbero enormi e provocherebbero una crisi del mercato finanziario, da cui la Cina è ancora dipendente per liquidità e investimenti stranieri. L’esercito ha una sede a Hong Kong e nella provincia del Guangdong, al confine con l’ex colonia, è stanziato un contingente di polizia paramilitare, segno che Pechino è pronta a usare la violenza, ma solo quando tutte le altre possibilità saranno esaurite. A Xi Jinping ne restano poche, e tra queste, dicono gli analisti, c’è quella di offrire ai manifestanti le dimissioni di Leung Chun-ying, odiato dalla piazza, promettere dialogo sulle riforme (sono tanti i modi con cui Pechino può mantenere il potere a Hong Kong) e sperare che questo basti per convincere almeno una parte dei manifestanti a tornare a casa. Ma anche questa concessione, seppur minima, potrebbe essere troppo per il Partito.

Di più su questi argomenti: