Occupy Hong Kong si è trasformata in uno stallo, e gli studenti sono divisi
Al quinto giorno di occupazione del distretto finanziario i manifestanti pro democrazia dell’ex colonia inglese sono davanti a un bivio.
Roma. Al quinto giorno di occupazione del distretto finanziario e di alcuni quartieri del centro di Hong Kong, dopo le violenze di domenica e il ritiro della polizia e l’entusiasmo e l’attenzione internazionale e la “rivoluzione degli ombrelli” che è diventata un simbolo, i manifestanti pro democrazia dell’ex colonia inglese sono davanti a un bivio. Ieri, poco prima delle 23 ora locale, a meno di un’ora dallo scadere dell’ultimatum dei movimenti studenteschi (se il capo dell’esecutivo Leung Chun-ying non si dimette e se Pechino non ci concede il suffragio universale occuperemo i palazzi del potere) il governo ha annunciato una conferenza stampa. Il capo dell’esecutivo Leung Chun-ying e la numero due del governo, Carrie Lam, saranno presenti, l’annuncio sarà di quelli importanti, Leung potrebbe dimettersi, tutti sanno che dopo quello che è successo è già un uomo morto agli occhi di Pechino, oppure potrebbe scatenare la repressione. La polizia è tutto il giorno che si muove, nel pomeriggio i manifestanti hanno ripreso con i telefonini i poliziotti mentre maneggiano grossi contenitori pieni di proiettili di gomma e di lacrimogeni, alla vigilia della conferenza stampa gli agenti si schierano presso il palazzo del capo dell’esecutivo, che da ieri è circondato dai manifestanti.
Leung e Lam si presentano davanti alle telecamere mezz’ora prima della fine dell’ultimatum, l’orario è strategico e serve a spezzare l’entusiasmo della piazza che sente che qualcosa sta per accadere e ha i nervi tesissimi: tutti guardano Leung, lo ascoltano con le radioline portatili dalle strade, nessuno pensa all’ultimatum. Leung parla, risponde alle domande dei giornalisti, dice che il governo è pronto a dialogare con gli studenti sulla riforma politica. La signora Lam gestirà il dialogo, sul momento sembra una concessione, ma Leung non dice né come né quando gli incontri si terranno, e subito aggiunge che comunque tutto sarà fatto secondo la Basic law, la Costituzione, che è un modo per dire che tutto sarà fatto come vuole il governo. “Vorrei rispondere a un’altra domanda”, dice alla fine della conferenza, senza che nessuno gliel’abbia fatta ufficialmente. “Non ho intenzione di dimettermi”, dice, e a quel punto diventa chiaro che nessuna delle richieste dei manifestanti è stata accolta. Fuori gli studenti sono delusi, ma hanno perso lo slancio, occupare i palazzi del governo che ti promette dialogo non è adatto alla rivoluzione più beneducata del mondo, quella che offre gli ombrelli ai poliziotti piantati sotto la pioggia. Il giornalista Antonio Talia, che è in mezzo agli studenti mentre Leung parla, dice al Foglio che c’è qualche tafferuglio, discussioni sulla possibilità di bloccare la strada davanti al palazzo di Leung (c’è stato un accordo informale con la polizia per mantenerla libera), ma i manifestanti moderati hanno la meglio e sgombrano la strada gridando: “Amiamo Hong Kong!”.
[**Video_box_2**]Così l’ultimatum scade e l’occupazione non arriva. Il governo ha fatto promesse senza concedere niente, è una mossa pensata per prendere tempo, ma è abbastanza per tornare a condurre i giochi. Dopo cinque giorni, che per gli studenti del movimento Scholarism sono anche di più, il pic-nic di massa sulle superstrade di Hong Kong, la protesta più civilizzata del mondo, si è trasformato in uno stallo, e gli studenti non sanno più come andare avanti. Tutti sanno che l’occupazione non può durare a lungo. Dopo giorni in cui le strade si sono ingrossate, ieri per la prima volta i manifestanti erano meno del giorno prima. I più radicali, i più giovani, quelli dell’ultimatum, vogliono misure drastiche, vogliono occupare, fare come a Kiev. Sono quelli che, come ha scritto Bloomberg, hanno organizzato in un fine settimana la protesta che Benny Tai, il fondatore di Occupy Central, aveva impiegato un anno a immaginare. Il movimento è diviso, gli accademici di Occupy Hong Kong, che sono stati trascinati nella protesta dagli studenti, sembrano più prudenti e più pessimisti, e sanno che più il tempo passa più la città rischia di spazientirsi, ed è difficile continuare la protesta. Adottare misure più radicali, come alcuni chiedono, significa assumere molti rischi. I manifestanti temono di attirare la repressione violenta della polizia, ma soprattutto di alienarsi le simpatie della città, che per ora sostiene gli studenti ma potrebbe facilmente perdere la pazienda. Pensare a una exit strategy, però, significherebbe tornare a casa come vincitori morali, ma senza aver ottenuto niente. Se il governo di Hong Kong resiste a Occupy, Pechino sa che avrà il via libera per un’ulteriore normalizzazione dell’ex colonia.
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