Manifestanti a Hong Kong (foto Ap)

Hong Kong è l'avanguardia cristiana della Cina rivoluzionaria

Redazione

Scemano le proteste, per ora, ma si è scoperto che il ruolo delle chiese cristiane è centrale per la nuova generazione ribelle. Per il governo sarà difficile far tornare tutto come prima.

Roma. Anche se le manifestazioni per la democrazia a Hong Kong si stanno sgonfiando, se ieri mattina gli studenti sono andati a scuola e sono tornati in strada la sera sperando che le barricate fosserro ancora lì, perché a proteggerle tutto il giorno sono rimaste poche decine di vecchi attivisti (c’erano, e ieri sera la folla nel distretto finanziario di Hong Kong era ancora discreta, ma non è detto che la cosa duri), anche se le proteste dovessero finire e il dialogo tra il governo e gli studenti dovesse portare a niente, per il governo di Hong Kong sarà difficile far tornare tutto come prima.

 

Dieci giorni di manifestazioni hanno fatto crescere una generazione di attivisti teenager che è molto diversa dai partiti pro democrazia e avvezzi al compromesso che siedono all’Assemblea legislativa di Hong Kong e che ha superato in entusiasmo anche Occupy Central, il gruppo di professori e intellettuali che ha monopolizzato le proteste negli ultimi anni ma che da due settimane si trova a inseguire gli studenti che occupano le strade e rilasciano dichiarazioni alla stampa e parlano da pari con il governo della città. Anche per Xi Jinping, il presidente cinese, le proteste dei giovani di Hong Kong costituiranno un problema qualunque sia il loro esito. A partire dal massacro di piazza Tiananmen la burocrazia del Partito comunista ha barattato con il popolo le libertà civili in cambio di ricchezza e stabilità. Xi Jinping lo ha definito “il sogno cinese”, quello in cui ogni cittadino ha il diritto di percorrere la sua strada per la felicità nella misura in cui la strada è stata tracciata dal Partito. Ma ecco che i rampolli della piccola borghesia di Hong Kong, la città più ricca di tutta la Cina, occupano la città in segno di protesta (ma non erano i più alienati del mondo, questi millennial asiatici con i loro telefonini?) e lo schema cinese di stabilità e prosperità scricchiola. Certo, Hong Kong è un caso speciale, e le ragioni della protesta riguardano anche l’economia declinante, gli affitti, le opportunità, lo status dell’ex colonia rispetto alla terraferma. Poi c’è un altro fattore che pochi hanno tenuto in conto. Molti dei manifestanti, e buona parte dei leader della protesta, sono cristiani.

 

[**Video_box_2**]Dei 7,2 milioni di persone che abitano l’ex colonia, i cristiani, tra cattolici e protestanti, non arrivano nemmeno a un milione – sono 360 mila i primi, 480 mila i secondi. Ma tra i volti pubblici della protesta i cristiani sono la maggioranza. C’è il cardinale emerito Joseph Zen, che non ha avuto ruoli nelle manifestazioni ma che da sempre è un nemico del regime comunista cinese e ha sostenuto gli studenti (più cauto il suo successore, il cardinale John Tong, che ha emesso un comunicato per chiedere al governo di evitare le violenze e invitare i manifestanti alla calma). Tra i leader della protesta, è cristiano (evangelico) Joshua Wong, il diciassettenne fondatore del movimento studentesco Scholarism, ed è un pastore cristiano (battista) Chu Yiu-ming, uno dei tre leader di Occupy Central. Anche Benny Tai, il fondatore carismatico del movimento, si è detto cristiano. Nei presidi la presenza dei cristiani è capillare. Sul Wall Street Journal Ned Levin ha raccontato di come le varie comunità, spesso congregazioni protestanti di poche centinaia di persone, si siano organizzate per aiutare i manifestanti, fornire loro cibo, rifugio dalla pioggia e preghiere. Una delle ragioni di questo attivismo è che molte comunità cristiane di Hong Kong sono formate da rifugiati o da discendenti di rifugiati che sono fuggiti alla persecuzione di Pechino ma non hanno perso lo spirito combattivo. A Hong Kong, poi, la comunità cristiana è anche quella più occidentalizzata e attaccata ai valori democratici. E’ un mix notevole, che fa chiedere a Christian Caryl su Foreign Policy se il cristianesimo produca dei buoni ribelli. E’ una cosa vera, almeno per Hong Kong, e Xi Jinping dovrebbe tenerne conto. Nel 2025, scrive Caryl citando lo studioso Fenggang Yang, la Cina sarà il più popoloso paese cristiano del mondo.

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