Totò dietro le sbarre
Niente servizi sociali per il redento Cuffaro. Accanimento gratuito
Il problema fu “il disvelamento”. Dicasi “disvelamento” quel che resta come zona d’ombra di un’inchiesta. E sempre per il “disvelamento” – anzi: del mai avvenuto “disvelamento” – forse Totò Cuffaro, dicono le cronache, rimane in carcere. Dovrà scontare in una cella di Rebibbia i 14 mesi che ancora gli restano. Sorprendente decisione, quella della Cassazione. L’inchiesta è finita, il processo è stato fatto, la pena (in buona parte) scontata. Cuffaro – il potente ex governatore, che ha preso sette anni per favoreggiamento a Cosa nostra – è certo, diciamo così, redento. Non siamo noi a dirlo. Non è nemmeno lui a dirlo – che casomai ora Totò scrive: ben due libri, “Il candore delle cornacchie” e “Le carezze della nenia”, frutto della permanenza dietro le sbarre, mentre “il carcere accorcia il mio respiro”. Sia la procura generale della Cassazione sia l’istituto di pena, riconoscendo l’avvenuto ravvedimento, avevano dato parere favorevole ai servizi sociali. La Suprema corte ha deciso altrimenti. Liberamente, certo. Inutilmente, magari. Cuffaro, all’epoca senatore, si consegnò di sua volontà ai carabinieri nel 2011, quando la Cassazione rese definitiva la condanna. Ha sempre avuto, in questi anni passati a Rebibbia, condotta esemplare. Sono solo lontani, solo pallidi ricordi, i giorni del “vasa vasa” (“meglio baciare tutti e dare il bacio a quello sbagliato, che non baciare nessuno”, l’azzardata, per eccesso di affettuosità si potrebbe dire, teoria cuffariana) come quelli dei cannoli. Peccato per la decisione. Il detenuto Cuffaro meritava di tornare a essere il dignitoso sig. Cuffaro, ormai consegnato all’orto e alla scrittura.
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