Lo sfigato Travaglio
Fuga da Santoro, gaffe su Napolitano. Mesta dissoluzione di un’epoca
Travaglio, si sa, ha la penna che corre veloce. Quasi quanto lui nell’abbandonare uno studio televisivo. L’altra sera, appena prima di recarsi per l’abituale intronizzazione da Santoro (io so’ io e voi non siete un cazzo!), aveva consegnato al Fatto la consueta editorialessa, dove rievocava certi altrui abbandoni di studi televisivi (“lui, per tutta risposta, si mise a sbraitare, si alzò e se ne andò”), senza sapere – contrappasso, colpo di genio – di stendere precisa e perfetta cronaca del suo imminente farsi fuggitivo. Veloce e presago. Il parapiglia tra Marco e Michele (gli Al Bano & Romina del giovedì sera), dopo il festoso litigio, causa film, tra la Guzzanti e il dott. Caselli, con paradossale inversione di ruoli (la comica loda il suo lavoro in quanto “serissimo”, il procuratore evoca ad accusa il “cabaret”), è l’ulteriore prova di un piccolo mondo antico in surreale dissoluzione – les feuilles mortes di questa stagione politica e televisiva.
E a riprova della velocità della penna travagliesca: il giorno prima, l’editorialessa era contro Napolitano, più o meno accusato di aver favorito i mafiosi, “a giudicare dalla pessima prova fornita da ministro dell’Interno, dal 1996 al ’98, quando furono chiuse le supercarceri di Pianosa e Asinara (simboli del 41-bis inventato da Falcone) e lui stesso prese a strillare che ‘i pentiti sono troppi’ e bisognava cambiare la legge (inventata da Falcone) per sforbiciarli, guardacaso proprio mentre iniziavano a parlare della trattativa col Ros” (e te pareva!). Poi, ieri mattina, il Fatto ha dovuto titolare, a tutta pagina: “L’allarme del ’93: ‘Vogliono uccidere Napolitano’”. I mafiosi, si capisce. Certe volte è presago, Travaglio. Certe altre è un po’ sfigato.
Il Foglio sportivo - in corpore sano