Perché nessuno è immune alle scemenze dell'ideologia, soprattutto i Big data
Ad ascoltare chi crede nei Big data, l’uomo è a un passo dal raggiungere un livello di conoscenza che fino a qualche decennio fa non era immaginabile. Chi crede nei Big data dice che la manipolazione e l’analisi di quantità immani di informazioni, resa possibile dallo sviluppo delle modalità di raccolta e di calcolo, cambierà le nostre vite.
Lascia parlare i dati. Lascia che le statistiche si sviluppino, che i grafici si alzino e si abbassino, che gli algoritmi facciano il loro lavoro di analisi, estrazione, selezione. I dati parlano da sé, non hanno nemmeno bisogno di qualcuno che cerchi di interpretarli, basta metterli in fila e il quadro sarà completo, certo, intellegibile. Ad ascoltare chi crede nei Big data, l’uomo è a un passo dal raggiungere un livello di conoscenza che fino a qualche decennio fa non era immaginabile. Chi crede nei Big data dice che la manipolazione e l’analisi di quantità immani di informazioni, resa possibile dallo sviluppo delle modalità di raccolta e di calcolo, cambierà le nostre vite. Ci farà conoscere noi stessi come mai avevamo pensato, curerà le nostre malattie prima che si presentino, ci farà quasi prevedere il futuro, in un modo che la vecchia statistica, quella che dalla massa infinita dei dati era capace di selezionare solo dei campioni, non è mai stata in grado di fare.
Secondo Nathan Jurgenson, che ha scritto un bel saggio sul New Inquiry, è una questione di quantità, certo. I Big data sono uno strumento di conoscenza dalle potenzialità enormi. Ma ciò che emoziona i sostenitori dei Big data è una questione di qualità, è il fatto che promettono una risposta all’incertezza endemica che assilla il mondo.
La modernità è sempre stata più brava a immaginare nuove domande che a trovare le risposte. Ogni nuova teoria produce una quantità di dubbi maggiore di quelli che soddisfa, e la ricerca è un insieme di incertezze che si accumulano l’una sull’altra. Ma con i Big data, dicono i loro sostenitori, finalmente abbiamo uno strumento di conoscenza la cui obiettività sarà universale. Si prenda per esempio la vita di un uomo. Dal punto di vista dei Big data essa non è altro che un insieme di informazioni computabili che ora siamo in grado di raccoglierle. Si tratta solo di metterle in fila ed ecco che la vera essenza della natura umana si rivelerà nella sua interezza, pronta per essere analizzata dai nostri supercomputer. Nei laboratori delle grandi compagnie “social” della Silicon Valley questo sta già avvenendo. Poche settimane fa Facebook ha usato l’enorme mole di dati in suo possesso per fare esperimenti sugli umori e sulle percezioni dei suoi utenti e Twitter sta riempiendo di milioni i suoi centri di analisi dei Big data. Il fondatore del sito di incontri OkCupid, Christian Rudder, scrive nel suo libro “Dataclysm” che i Big data ci consentiranno di leggere dentro le nostre anime e di scoprire i nostri istinti più nascosti. Lui che tutti i giorni vede scorrere sui suoi schermi desideri e appetiti di milioni di persone sa di cosa parla. Su OkCupid la gente lancia commenti sconci e foto ammiccanti, e mostra “vanità e vulnerabilità che finora erano rimaste nell’ombra”. I Big data ci consentono di illuminare quest’ombra, di avere conoscenza dei veri noi. E questa conoscenza sarà imparziale perché il dato non racconta bugie, lui si mostra per quello che è, tutto quello che possiamo fare è accettare la conoscenza nuda che ci offre.
[**Video_box_2**]Ma il sogno dell’obiettività universale, di un punto di vista assoluto e perfetto, la fine delle interferenze è vecchio e famigliare. L’idea che raccogliere una quantità di dati sufficiente basti a ottenere una “obiettiva e disinteressata” rappresentazione della realtà si chiama positivismo, e si è già dimostrata fallace. La pretesa di raccogliere e osservare dati che arrivano senza filtri è più che altro una fantasia razionalista, e pensare che il dato non possa essere falsato, manipolato, piegato alle proprie esigenze è ingenuo. Anche il fatto che siano computer e algoritmi a estrarre i dati non aiuta. I computer non hanno memoria, tutto quello che possono fare è rispondere alle domande, parziali, di chi li interroga. I Big data vorrebbero porsi al di sopra del potere e delle influenze esterne, ma sono un potere a sé stante, e un potere nelle mani dei pochi (quasi tutti nella Silicon Valley americana) che hanno i mezzi tecnici per gestirlo. I Big data hanno potenzialità enormi, ma sono preda di una fantasia positivista che cerca di vendere la scienza come disinteressata all’ideologia e immune alla politica. Non lo è, i sostenitori dei Big data dovranno impararlo.
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