Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

La geopolitica di Renzi

Redazione

Il discorso pronunciato da Matteo Renzi in Senato, per illustrare i temi del vertice a 27, è stato tutt’altro che la solita elencazione di temi internazionali giustapposti l’uno all’altro. Il premier ha saputo collegare tematiche economiche e geopolitiche.

Il discorso pronunciato da Matteo Renzi in Senato, per illustrare i temi del vertice a 27, è stato tutt’altro che la solita elencazione di temi internazionali giustapposti l’uno all’altro. Il premier ha saputo collegare tematiche economiche e geopolitiche, questioni di merito, persino quella dell’assenza di un gasdotto tra Spagna e Francia, alle tensioni internazionali, ha sottolineato la centralità della crisi libica per l’Europa e non solo per l’Italia, ha definito con chiarezza la condizione essenziale della pacificazione in Ucraina chiedendo il rispetto dei diritti della comunità ucraina russofona. Insomma ha dato l’impressione di saper dare un’interpretazione matura del ruolo e degli interessi europei in una situazione globale zeppa di emergenze terroristiche e di fattori di destabilizzazione. In quel quadro anche le tensioni interne, come quella con la Cgil, sono state sussunte in una più complessiva visione delle reazioni sociali a un processo di rinnovamento reso urgente dalla crisi e governabile a livello continentale se non si insiste su ricette puramente aritmetiche. Al di là della nota capacità oratoria di Renzi, che finora si era espressa però più in esibizioni di stile giovanilistico e ora si confronta invece con la rocciosità della strategia internazionale, si è notato un di più di riflessione e di analisi, che com’è naturale deve essere stata costruita con apporti di competenze specifiche.

 

Non sappiamo chi abbia suggerito o collaborato col premier alla stesura del suo primo discorso impegnativo di politica estera, ma, visto che si sta liberando il posto di ministro degli Esteri, vorremmo sommessamente consigliare al premier di tenere presente proprio chi lo ha aiutato a presentarsi come uno statista in grado di maneggiare con abilità consumata i dossier internazionali più delicati. Naturalmente la politica estera non è fatta solo di discorsi, ma dal punto di vista della gestione dei rapporti internazionali la Farnesina dispone di un personale e di una tradizione di buon livello. Ciò che serve è proprio quella capacità di tenere insieme le varie questioni in una visione razionale e convincente, che si è notata in quel discorso e che dovrebbe essere la caratteristica fondamentale di una buona gestione degli Affari esteri.

 

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