Non c'è Pepe che tenga. In Uruguay la sinistra rischia di perdere
E' il giorno del ballottaggio in Brasile tra Dilma Rousseff e Aécio Neves, ma anche la data del primo turno elettorale nel vicino Uruguay. I due paesi sono confinanti ma per molti versi sono agli antipodi – oltre che acerrimi rivali calcistici.
Roma. E' il giorno del ballottaggio in Brasile tra Dilma Rousseff e Aécio Neves, ma anche la data del primo turno elettorale nel vicino Uruguay. I due paesi sono confinanti ma per molti versi sono agli antipodi – oltre che acerrimi rivali calcistici. L’Uruguay, a differenza del Brasile, non conosce segnali di rallentamento nella sua economia, e nel 2013 il suo pil si è assestato a un +4,4 per cento, mentre Dilma ha trascorso l’ultima parte del suo mandato subendo continue contestazioni. Oltretutto l’Uruguay è il paese guidato da José Alberto Mujica Cordano, 78 anni, detto “El Pepe”, presidente della Repubblica che ha oggi la fama di “presidente più popolare del mondo”. Eppure, come in Brasile, anche in Uruguay i sondaggi danno il centrodestra in testa dopo 10 anni di potere della sinistra del Frente Amplio, il partito politico uruguaiano di sinistra con sede a Montevideo.
Mujica viene definito il “Don Chisciotte travestito da Sancho Panza” per il corpo rubicondo in cui cela ancora sei pallottole incassate quando era guerrigliero. Colpì il mondo per il modo in cui versa il 90 per cento del suo stipendio in beneficenza, viaggia in Maggiolino anni Settanta e con voli di linea, abita in una fattoria alla periferia di Montevideo dove passa il tempo libero a coltivare fiori e ortaggi. Mujica è l’uomo dalla tagliente disinvoltura con cui ha definito “mafiosi” i peronisti argentini o ha difeso il “cannibale” Luis Suárez dagli strali della Uefa. Ma lungi dal danneggiare l’immagine da Cincinnato, certe sue dichiarazioni non hanno fatto altro che regalargli un tocco ruspante in più, e le lodi non sono venute solo da sinistra. “Saggio di Montevideo”, ha scritto l’Economist; “straordinariamente credibile”, ha detto Barack Obama; “un liberale travestito da socialista” per Mario Vargas Llosa.
[**Video_box_2**]Eppure Mujica non può ricandidarsi immediatamente per divieto costituzionale. Al suo posto il Frente Amplio candida Tabaré Vázquez, che tra il 2005 e il 2010 era già stato il primo presidente di sinistra della storia uruguaiana. E se Mujica finisce il suo mandato presidenziale con un indice di approvazione al 56 per cento, Vázquez nel 2010 era addirittura al 75 per cento. Oggi però Vázquez nei sondaggi non si schioda dal 40-43 per cento, ed è meno della somma tra il 28-33 per cento del Blanco Luis Alberto Lacalle Pou e l’11-17 del Colorado Juan Pedro Bordaberry Herrán: entrambi figli di presidenti, il 41enne Lacalle ha anche un look da attore. E se per gran parte della storia uruguaiana Blancos e Colorados si sono combattuti ferocemente, adesso c’è già un accordo implicito per il ballottaggio. Paradossalmente, il provvedimento di legalizzazione della marijuana che ha consegnato l’approvazione internazionale a Mujica, in patria è impopolare. E gli uruguaiani sono insoddisfatti per il deterioramento dell’ordine pubblico e per gli esiti degli studenti ai test internazionali Pisa. Il nervosismo del Frente Amplio è dimostrato dal modo in cui Mujica ha deciso di scendere in campo a favore di Vázquez negli ultimi giorni di campagna: non senza accuse di aver “violato la Costituzione”.
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