Scandalo Cia

Redazione

I servizi mandano agenti travestiti al Senato per fermare il rapporto  sulle torture. Il duro McDonough

Roma. “Il presidente vuole sapere chi cazzo ha autorizzato il rilascio [dei documenti] alla commissione. Ho un presidente infuriato e voglio sapere per quale cazzo di ragione hai fottuto tutto!”. E’ il 2009, la scena è alla Casa Bianca. A sbraitare è Rahm Emanuel, allora capo dello staff dell’Amministrazione Obama. La vittima della sfuriata è Leon Panetta, al tempo capo della Cia. I documenti a cui si riferisce Emanuel sono quelli, “tra i più importanti in possesso dell’agenzia”, che Panetta concesse in visione alla commissione Intelligence del Senato americano per una gigantesca indagine, durata cinque anni e costata 40 milioni di dollari, sui metodi di interrogatorio e di detenzione usati dalla Cia dell’èra Bush dopo l’inizio della guerra al terrore. Allora l’indagine della commissione, presieduta dalla senatrice democratica Dianne Feinstein, era agli inizi, la Feinstein aveva tutte le autorizzazioni in regola per vedere i documenti. Ma Obama, il presidente della “Amministrazione più trasparente della storia”, non voleva che la commissione deputata a sorvegliare l’operato della Cia sorvegliasse davvero l’operato della Cia. Il testo della sfuriata di Emanuel è tratto dal memoir appena uscito di Panetta, “Worthy Fights: A Memoir of Leadership in War and Peace”. Da settimane il memoir è discusso per la descrizione negativa degli anni di Panetta dentro l’Amministrazione Obama (prima come capo della Cia e poi come segretario della Difesa), e mostra tra le altre cose che il report della commissione Intelligence è da sempre un problema enorme per il presidente.

 

Il report di 6.300 pagine si concentra, secondo fonti dell’agenzia McClatchy, sui presunti abusi e sulle accuse di tortura rivolte alla Cia durante la guerra al terrore – sulle sue “azioni e inazioni”. L’agenzia d’intelligence da anni cerca di limitare il lavoro della commissione. Lo scorso marzo la senatrice Feinstein accusò John Brennan, a capo della Cia dal 2013, di aver tentato di violare i computer del Senato per ottenere le bozze del report. Brennan prima negò, poi ammise la violazione e chiese scusa, infine si rifiutò di nominare gli agenti che avevano partecipato all’operazione. Ma secondo fonti sentite questa settimana da Ali Watkins e Ryan Grim dell’Huffington Post America “se la gente sapesse in dettaglio quello che hanno fatto davvero per entrare nei computer del Senato e cercare i documenti sulla tortura resterebbe a bocca aperta”. Un ispettore della Cia che ha chiesto di rimanere anonimo ha detto ai giornalisti che alcuni agenti dell’agenzia hanno “fatto finta di essere dipendenti del Senato per ottenere accesso alle comunicazioni e alle bozze dell’indagine della commissione”. Persone vicine alla Cia smentiscono, e la Casa Bianca continua a dare all’agenzia e a Brennan “piena fiducia”.

 

[**Video_box_2**]Il fatto è che la pubblicazione del report potrebbe essere imbarazzante anche per il presidente Obama, soprattutto se le strategie di sicurezza nazionale sono messe in discussione in un periodo delicato a livello politico (le elezioni di midterm) e a livello internazionale (l’intervento in Iraq e Siria contro lo Stato islamico). Un documento di 480 pagine con le conclusioni della commissione è pronto da sei mesi, ma l’Amministrazione sta cercando in tutti i modi di ritardare la sua pubblicazione o di farne uscire una versione pesantemente modificata. Obama ha attivato il suo capo di gabinetto, il tostissimo Denis McDonough, per negoziare direttamente con la commissione le modifiche al documento. Soprattutto, dice una fonte all’Huffington Post, McDonough avrebbe chiesto ad alcuni membri del Senato la protezione di Brennan, che rischia di essere travolto “dal prevedibile furore che seguirà la pubblicazione del documento”. I complottisti del sito The Intercept dicono che niente sarà pubblicato prima delle elezioni di midterm, e che a quel punto un nuovo Congresso a maggioranza repubblicana bloccherà l’indagine. Anche i democratici non sarebbero contrari. Molti pensano, dice l’ex capo antiterrorismo Robert Grenier, che mentre lo Stato islamico avanza e decapita giornalisti americani “non è il momento di chiedere di andarci piano contro il terrorismo”.

Di più su questi argomenti: