Miliband viaggia al contrario
Il leader del Labour inglese non parla da liberale, e tutto gli va male
Tony Blair dice che alle prossime elezioni inglesi, nel maggio del 2015, vinceranno i Tory, perché il Labour di Ed Miliband si è ritirato in una “comfort zone” della sinistra del partito che impedisce di parlare agli elettori proponendo una storia nuova, e vincente. Da quando il Sunday Telegraph ha pubblicato i virgolettati attribuiti all’ex premier laburista, non si fa che discutere delle antiche faide interne al Labour, faide personali oltre che ideologiche, che da anni rendono i laburisti litigiosi e inefficaci. La leadership di Ed Miliband è debole, e dentro al partito si progettano golpe con cadenza settimanale, senza mai affondare il coltello, perché un’alternativa popolare non c’è. Il problema del Labour però non è soltanto il suo leader poco fotogenico e molto noioso, quanto la sua identità: in controtendenza rispetto a quel che accade in Italia con Matteo Renzi e in Francia – pur con più acciacchi non essendoci un consenso elettorale – con Manuel Valls, Miliband ha deciso di guidare il suo partito verso il passato, annullando la svolta liberale del blairismo.
Ha un debito, Miliband, con la sua base elettorale, che è quella sindacale, che gli ha permesso di affondare il coltello – lui sì che con i golpe è forte – nel cuore di suo fratello David, e vincere la guida del partito. Ma non è solo questo. “Red Ed”, come viene soprannominato dai tabloid britannici, crede più nel socialismo che nel liberalismo, parla più ai sindacati che al mondo delle imprese. Il risultato è deprimente: c’è la forza dell’Ukip, largamente sottostimata dal Labour, che si sta imponendo, certo. Ma ormai il vantaggio di Miliband nei sondaggi è di un paio di punti percentuali.
Il Foglio sportivo - in corpore sano