Il palazzo del Quirinale

Veline e controveline

Gli ostacoli paralleli di Prodi e Pinotti per la corsa Quirinale

Redazione

Panico prodiano. Nei palazzi della politica si è scatenato il toto-nomine e un candidato appare oggi fuori dal giro. Tutti ricordano che lo fece anche l’anno scorso, salvo poi farsi candidare alla presidenza della Repubblica dall’allora segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani, che sperava, tramite lui, di ottenere lo stesso l’incarico di formare il nuovo governo.

Panico prodiano. Nei palazzi della politica si è scatenato il toto-nomine e un candidato appare oggi fuori dal giro. Tutti ricordano che lo fece anche l’anno scorso, salvo poi farsi candidare alla presidenza della Repubblica dall’allora segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani, che sperava, tramite lui, di ottenere lo stesso, nonostante la non vittoria alle elezioni politiche, l’incarico di formare il nuovo governo. E tutti ricordano perfettamente come e quanto si arrabbiò quando quell’operazione non andò in porto, nonostante Massimo D’Alema, con il suo fare ruvido ma sincero, lo avesse avvertito dell’esito di quell’avventuristica iniziativa senza speranza. Ma nemmeno D’Alema era riuscito a fargli cambiare idea e a lasciare che il suo nome, pur senza che lui apparisse ufficialmente come il motore dell’operazione, venisse buttato in pista. Si sta parlando, ovviamente, di Romano Prodi. A non volerlo al Quirinale, però sono in tanti. Non solo Silvio Berlusconi, perché, come è noto, la maggioranza, se per un caso trovasse al suo interno la forza, potrebbe eleggersi da sola anche il presidente della Repubblica dalla quarta votazione in poi. No, Prodi non è amato in tanti altri palazzi, non solo al Plebiscito. A Via del Nazareno sono in pochi a volerlo sul più alto Colle e, in compenso, da quelle parti più d’uno sostiene che anche al Quirinale, che sarà, come sempre, uno snodo cruciale, anche in questa importante occasione, l’uomo non susciti grandi passioni. In più non punterebbe su Prodi nemmeno il presidente del Consiglio, nonché segretario del partito di maggioranza relativa Renzi, il che taglia la testa al toro. Almeno per il momento.

 

In difesa. Sempre negli stessi palazzi raccontano che Roberta Pinotti non abbia grandissime chance. Non tanto perché non sia apprezzata sia da Giorgio Napolitano che da Matteo Renzi, quanto perché nel Parlamento attuale, a voto segreto, mezzo Pd, ossia il suo partito, la silurerebbe.

 

Pazza Ikea. C’è poi Finocchiaro. Ha gestito bene, e come voleva Renzi, la vicenda della riforma costituzionale del Senato e adesso ha per le mani la riforma elettorale. Dicono che non sia malvista dai berlusconiani ed  è una donna. Si dimentica però che fu uno dei simboli indicati da Renzi, insieme con D’Alema e Bindi, quando partì con la sua campagna per la rottamazione.

 

Il candidato di Giorgio. Infine c’è l’evergreen Giuliano Amato. Apprezzatissimo da Napolitano. In rapporti non pessimi con Berlusconi. E ultimamente pare si senta con una certa regolarità con il premier.

 

Oggi o domani? Questo quadro vale se sarà questo Parlamento a eleggere il nuovo presidente. Il che, nonostante il patto siglato l’altra notte a Palazzo Chigi, non è affatto detto.