L'utente (disperato) è uscito dal gruppo
Appello accorato al buon senso civile nella gestione di Whatsapp. Ci vuole coraggio ad abbandonare la conversazione. Ma la gestione sconsiderata dei gruppi dell'app, creati senza il consenso dei raggruppati, sta creando esasperazione e continui sussulti per le notifiche sonore.
Ci vuole coraggio ad abbandonare la conversazione. Ma la gestione sconsiderata dei gruppi di Whatsapp, creati senza il consenso dei raggruppati, sta creando esasperazione e continui sussulti per le notifiche sonore, seguìti dalla delusione: non era il messaggio che stavamo aspettando, ma l’intervento di un utente del gruppo: genitori della quarta A. Che, con le migliori intenzioni, notifica di avere acquistato la carta igienica per l’intera classe, manda la foto dello scontrino, molti genitori rispondono con emoticon di applausi, oppure fanno battute, chiedono delucidazioni sui compiti, avvisano che il giorno dopo un gruppetto di madri andrà a correre subito dopo l’accompagnamento a scuola. Ogni intervento, un trillo. I gruppi nascono per utilità (o per diletto: esiste anche il gruppo dei compagni di liceo, di solito in prossimità di cene di ex studenti), e per il solo fatto di far parte automaticamente di un gruppo si sente di possedere un’identità, e di avere il dovere di conservarla. Però velocemente il gruppo, nato attraverso un atto antidemocratico, diventa un generatore d’ansia. Il telefono non si può spegnere, ma trilla in continuazione, e non si resiste alla curiosità perché potrebbe essere importante, decisivo, drammatico: invece è un padre entusiasta che propone una tombola per Natale. Si vorrebbe abbandonare tutto, fra clic su “elimina conversazione”, ma si temono rimostranze, occhiatacce, emarginazioni, ripercussioni (nei casi di gruppi scolastici) sui figli incolpevoli e tenuti alla socializzazione estrema. Poiché non ci sono leggi, la costruzione di gruppo è affidata al buon senso dei singoli: diciamo no almeno al gruppo burraco del mercoledì sera.
Il Foglio sportivo - in corpore sano