Crescere è uno sporco lavoro
Draghi invoca lo scudo dei governi riformisti dal fuoco di Weidmann
“La politica monetaria non può fare tutto il lavoro sporco". Un discorso politico, i rapporti di forza nella Bce e gli strepiti tedeschi da soppesare. L’endorsment di Trichet. I rischi del voto a rotazione.
Roma. “La politica monetaria non può fare tutto il lavoro sporco. Gli attori politici, a livello nazionale ed europeo, devono compiere la loro parte”. Ieri il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha letto il più esplicito e politico dei suoi discorsi di avvicinamento al bazooka armato per l’inizio 2015: presumibilmente l’acquisto di titoli pubblici dell’area euro, “in un pacchetto già approvato per riportare i nostri bilanci – ovvero della Bce – alle dimensioni del 2012”. Cioè mille miliardi in più dei 2.000 attuali. Un’espansione che non potrà essere realizzata con le sole misure in corso di prestiti alle banche, acquisto di covered bond e titoli cartolarizzati (Assed backed securities, Abs).
Alle parole di Draghi sono seguiti acquisti massicci di titoli sovrani, compresi i Bund: un’ipotesi è infatti che il nuovo Quantitative easing sia esteso pro quota a tutti i paesi dell’euro, Germania inclusa. Ieri i rendimenti nell’Eurozona sono precipitati: il Tesoro ha collocato un Btp decennale al minimo storico del 2,08 per cento, lo stesso del mercato secondario. Lo spread è calato un po’ meno perché anche i rendimenti dei Bund sono crollati. Ma all’Università di Helsinki, tana di rigoristi filotedeschi come Olli Rehn e Jyrki Katainen (benché l’austerity stia provocando in Finlandia tre anni di pil in flessione), Draghi ha parlato appunto in termini politici.
Che altro è il “lavoro sporco” se non l’invito a fare le riforme senza bilancini e consociativismi? E, a uso interno della Bce, che altro significa se non ricordare al fronte ostile capeggiato dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che “il direttivo è unanime nell’impegno a utilizzare misure straordinarie aggiuntive”? Sul primo terreno l’invito all’azione è un endorsement anche per il Jobs Act di Matteo Renzi e un riconoscimento per quanto fa la Spagna sul mercato del lavoro e sull’annunciato taglio delle tasse; ma tocca anche l’immobilismo francese e la resistenza tedesca a rimettere in moto gli investimenti. Draghi sta inoltre facendo i conti di alleati e avversari nella Bce. Un notevole assist è arrivato dal suo predecessore, Jean-Claude Trichet, che ha ricordato che “l’acquisto di titoli di stato è totalmente in linea con il mandato della Bce. E’ stato già fatto con i titoli greci, portoghesi e irlandesi nel maggio 2010, italiani e spagnoli nell’agosto 2011”. Nel 2012 la Bce ha poi annunciato il programma Omt (Outright monetary transactions), acquisto sul mercato secondario di titoli di stato con vita residua fino a tre anni, e previa sottoscrizione dei governi interessati di un memorandum d’impegni. Soprattutto Trichet – che pure è stato molto dialogante con Berlino – ha ricordato che “le decisioni della Bce sono prese a maggioranza semplice. Non esistono diritti di veto della Bundesbank”.
[**Video_box_2**]L’inquilino scomodo del “condominio Bce” - Finora la BuBa ha eretto una barriera di caveat: il divieto di prestare soldi agli stati, un nuovo ricorso alla corte di Karlsruhe, oppure le dimissioni minacciate da Weidmann stesso. Soprattutto se è rivolta all’opinione pubblica tedesca, affascinata dalla vis polemica di Weidmann e magari rassicurata dalla protezione del fortino chiamato Germania dove il tasso di disoccupazione è ai minimi dall’unificazione di ventitré anni fa (6,6 per cento). Ma per quanto Weidmann continui a insinuare dubbi e minacciare ricorsi legali, il voto nella Bce avviene contando le teste, come un tempo a Mediobanca, e anche se si gettassero sul piatto le quote delle Banche centrali, Francia e Italia (26,77) supererebbero la Germania (18,94). La Spagna (8,3) varrebbe più del doppio dell’Olanda. Il Portogallo, rappresentato dal vice di Draghi, Vítor Constâncio – appena dichiaratosi favorevole all’acquisto di bond pubblici – e dal governatore Carlos Costa, supererebbe la Finlandia. Per di più nel 2015 scatterà una riforma che a rotazione lascerà fuori dal voto per un mese un banchiere centrale dei cinque paesi maggiori e tre dei 14 più piccoli. A votare sempre saranno Draghi e gli altri del direttivo: un portoghese, un francese, un lussemburghese, una tedesca e un belga. Ma forse questi meccanismi condominiali saranno superati dalla politica di Draghi e dei governi che invocano stimoli.
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