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Aficionados della concertazione

Redazione

Davvero non è un dramma se le parti sociali non toccano palla.

La società aperta è pluralistica per definizione, ed è un bene che sia così. La necessità, in una democrazia, di “corpi intermedi” davvero vitali, è stata teorizzata da illustri pensatori liberali, prim’ancora che un qualche sindacalista stizzito. Tuttavia da qui a rimpiangere l’èra della concertazione all’italiana ce ne passa.

 

Ieri Giuseppe De Rita, nel suo editoriale sul Corriere della Sera, ha sostenuto che “la tentazione della disintermediazione” da parte di Matteo Renzi è “comprensibile di fronte all’eccesso di concertazione giustamente criticato”, ma “resta nuda di fronte alla complessità sociale”. E’ da questa tentazione, secondo De Rita, che discenderebbe almeno in parte l’allontanamento dei cittadini dalle urne. De Rita intravvede oggi i “campanelli di allarme” di un processo che non si può dire sia iniziato con Renzi. Un primo colpo al diritto di veto delle cosiddette parti sociali sulle politiche governative provò ad assestarlo Silvio Berlusconi. Poi Mario Monti rivendicò la preminenza degli interessi generali su quelli corporativi; ma quello era un governo d’emergenza tecnocratica. Adesso con Matteo Renzi la politica è tornata al posto di guida, ma in quello del passeggero non siedono più confindustriali e sindacalisti, abituati per troppi anni ad agire come legislatori (non eletti) nella Sala verde di Palazzo Chigi. Ciò non equivale a impedire alle stesse associazioni di categoria di svolgere un ruolo di collegamento tra società e politica. Come scrive il cauto De Rita, nell’incipit del suo stesso editoriale di ieri, quello della “delegittimazione delle varie sedi intermedie di confronto” è “forse un falso allarme”. Per alcuni corpi intermedi, assomiglia pure al tentativo di autoassolversi dopo un evidente fallimento.  

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