Chiudiamo Guantanamo, anzi no
L’avete già sentita, sì? E’ che Obama è prigioniero della sua promessa. La civetteria del presidente americano e le indiscrezioni della Casa Bianca che dicono che i legali stavano lavorando a una soluzione presidenziale per aggirare l’opposizione del Congresso.
Le conferme che Barack Obama non chiuderà il carcere speciale di Guantanamo sono da tempo scivolate nelle parti più oscure delle cronache politiche, ma il presidente ha la civetteria di riproporre ciclicamente la promessa con cui ha iniziato il suo primo mandato alla Casa Bianca – promessa altisonante che aveva l’aria di una redenzione – e all’inizio di ottobre la Casa Bianca ha fatto sapere per l’ennesima volta che i legali stavano lavorando a una soluzione presidenziale per aggirare l’opposizione del Congresso. Certo, dicevano i funzionari di Obama, il presidente vorrebbe una legge e non un ordine esecutivo per autorizzare il trasferimento dei detenuti di Guantanamo sul suolo americano, e così ha mosso le sue leve a Capitol Hill per infilare un emendamento ben congegnato nell’annuale disegno di legge sulla politica della Difesa. Anche questa volta il tentativo è fallito.
Nelle parti più oscure delle cronache politiche, il senatore democratico Carl Levin ha annunciato che il dispositivo che permetterebbe al presidente di autorizzare i trasferimenti di prigionieri è stato espunto dal testo. Era quello il punto archimedico di un piano legislativo per chiudere Guantanamo a cui i democratici lavoravano da maggio, sotto il coordinamento a fari spenti della Casa Bianca. Il periodo dell’anatra zoppa – quei mesi di transizione fra le elezioni e l’insediamento del nuovo Congresso – è l’ultimo in cui i democratici godono della maggioranza in una delle due camere del Congresso. Da gennaio presentare un provvedimento del genere sarà impossibile per il partito di Obama, imprigionato dalle sue stesse promesse di redenzione.
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