Coltivare lo Spirito dell'America
Un venture capitalist ha usato lo spirito imprenditoriale americano per aiutare i soldati all’estero, con i frisbee più che con le munizioni. E’ la dottrina Petraeus con le macchine da cucire, e pure Uber non è lontano.
Roma. Jim Hake ha il suo “light bulb moment” nel 2003, mentre guarda un documentario del National Geographic in cui un soldato dell’esercito americano stanziato in Afghanistan, il sergente Jay Smith, gioca a baseball con un gruppo di bambini. Per far giocare tutti, il sergente Smith si è fatto mandare mazze e guantoni da sua moglie in America. E’ un atto di counterinsurgency più efficace di molte operazioni militari, spiega il documentario, perché da quel momento gli abitanti del villaggio iniziano a organizzare ronde notturne per proteggere se stessi e i marine dagli attacchi a sorpresa di al Qaida. Hake ha raccontato a Daniel Henninger del Wall Street Journal che era dagli attentati dell’11 settembre che sentiva di dover “fare qualcosa” per l’America, e la storia del sergente Smith gli mostra cosa. Smith ha dovuto farsi mandare i guantoni da baseball da sua moglie?, pensa. Questo posso farlo io. Hake è un venture capitalist, uno che finanzia le start-up tecnologiche della Silicon Valley, ma molla tutto, trova il modo di parlare con il sergente Smith e gli spiega la sua idea: tu dimmi di cosa hai bisogno, giocattoli quaderni o pannolini, e io “userò internet per trovare persone che aiutino” attraverso un network di donatori e aziende amiche – farò crowdfounding, in pratica, prima che la parola diventasse di moda. In breve Hake fonda Spirit of America, un’organizzazione non governativa e senza scopo di lucro che lavora con l’esercito americano in tutti i teatri di guerra, da ultimo il confine turco-siriano attaccato dallo Stato islamico, per rifornire i soldati e i diplomatici, su loro richiesta diretta, del “materiale umanitario” di cui possono avere bisogno, dagli attrezzi chirurgici alle macchine da cucire fino a un carico, famoso, di 15 mila frisbee inviati in Iraq.
In dieci anni, dal 2003 al 2013, Spirit of America ha raccolto più di 21 milioni di dollari in donazioni e beneficenza. Ma Spirit of America non ha niente a che vedere con la retorica indulgente delle altre ong. Hake non ha mai avuto la pretesa di essere neutrale. “Avevo il convincimento che l’America è importante, e che quello per cui l’America si erge è importante… Volevo combattere per quello per cui l’America combatte”, ha detto due anni fa, senza farsi problemi sul fatto che stava parlando a una Ted conference, uno dei templi del politicamente corretto. Spirit of America, che è nata nel contesto delle guerre in Afghanistan e Iraq, ha come obiettivo quello di ottenere la pace, ma di ottenerla vincendo la guerra.
Per vincere la guerra, però, l’America non può fare affidamento soltanto sul potere militare. Hake pensa che bisogna vincere il sostegno della popolazione locale, e farlo migliorando il suo tenore di vita. “E’ un modo per dire, questo è ciò che siamo”, ha detto in un’intervista. Ogni pacco spedito da Spirit of America nelle aree di conflitto porta la scritta: “Un regalo in segno di amicizia da parte del popolo americano”. Ci sono echi in questo delle teorie del generale James Mattis, che oggi è comandante del Central command e che da sempre sostiene Spirit of America, ma soprattutto dell’“Anbar awakening” promosso a partire dal 2005 dal generale Petraeus. Il soft power è importante quanto l’azione sul campo, e a volte un carico di 15 mila frisbee vale più di uno di munizioni.
[**Video_box_2**]Quella di Spirit of America è anche una grande storia di disintermediazione. Hake è un venture capitalist, e nel fondare la sua agenzia ha messo in pratica idee che oggi sono diffuse ma nel 2003 giravano solo nel mondo del tech. Spirit of America ha scavalcato gli impedimenti della macchina burocratica dell’esercito americano, è andato a sentire direttamente dai soldati sul campo quello di cui c’era bisogno, e glielo ha fornito senza passare per la trafila delle autorizzazioni, degli uffici pubblici, dei formalismi. Ha messo in contatto diretto chi aveva bisogno di un servizio con chi quel servizio lo offriva, senza intermediari – esattamente come fa, per esempio, Uber. Ha passato anche dei guai per questo. Nel 2009 il Central command disse che Spirit of America era illegale, che quello che faceva era una “sollecitazione impropria di doni”. Iniziò una causa che si risolse quasi due anni dopo, e che ha consacrato l’iniziativa di Hake. “Le nostre truppe sono come imprenditori”, ha detto Hake due anni fa. “Lavorano su problemi duri e complessi, in aree rischiose che cambiano velocemente”. Hanno bisogno di risorse veloci e flessibili che spesso la burocrazia centrale non riesce a fornire. Qui entra in gioco Hake, venture capitalist umanitario.
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