Un ufficio di cambio valuta a Mosca (foto AP)

La Russia pare sempre più una mezza potenza, tipo la Spagna

Redazione

Ambrose Evans-Pritchard, brillante capo della redazione International Business, ha scritto ieri un’interessante analisi sulla situazione economica russa, in cui spiega che cosa è accaduto lunedì, quando il crollo del prezzo del petrolio ha portato a un ulteriore ribasso del valore del rublo, ai suoi minimi dal 1998.

Roma. Ambrose Evans-Pritchard, brillante capo della redazione International Business del britannico Daily Telegraph, ha scritto ieri un’interessante analisi sulla situazione economica russa, in cui spiega che cosa è accaduto lunedì, quando “la diga si è rotta”, e il crollo del prezzo del petrolio ha portato a un ulteriore ribasso del valore del rublo, ai suoi minimi dal 1998 a questa parte, imponendo un intervento della Banca centrale russa per stabilizzare il valore a 52,07 rubli per dollaro. “E’ estremamente raro – scrive il giornalista – che una grande nazione collassi in questo modo e il trauma avrà con tutta probabilità conseguenze politiche”. Cita Lars Christensen, della Danske Bank, che dice: “E’ diventato tutto disordinato, non esistono compratori reali del rublo. Sappiamo che molti vicini al presidente Vladimir Putin vogliono un controllo dei capitali, ed è un’ipotesi che non possiamo escludere (anche se ancora dieci giorni fa il premier Medvedev l’ha esclusa). Siamo ormai convinti che la Russia abbia a che fare con problemi sistemici”. Alcune banche russe, ricorda Evans-Pritchard, hanno già iniziato a porre limiti al ritiro di euro e dollari oltre quota 10 mila e Ksenia Yudaeva, vicegovernatore della Banca centrale, ha detto che le autorità stanno formulando ipotesi “per uno scenario con il valore del petrolio a 60 dollari” che continui anche il prossimo anno. “Un lungo declino è altamente probabile”, ha detto la Yudaeva. La Russia non è più l’ottava economia più grande del mondo, “in soltanto nove mesi – precisa Evans-Pritchard – è passata da essere un petrogigante del valore di duemila e cento miliardi di dollari a un paese di medie dimensioni paragonabile alla Corea o alla Spagna”. La chiusura del progetto South Stream avrà ulteriori conseguenze, dal momento che “petrolio e gas costituiscono i 2/3 delle esportazioni e coprono metà dei ricavi fiscali, un classico caso di ‘malattia olandese’ che lascia il paese estremamente esposto alle altalene del ciclo delle commodities”.

 

Evans-Pritchard ricorda che il crollo protratto del prezzo del petrolio aveva portato al collasso l’Unione sovietica alla fine degli anni Ottanta e ha portato alla bancarotta la Russia nella seconda metà degli anni Novanta. “Il rublo non si stabilizzerà finché non si stabilizza il prezzo del petrolio”, dice Kingsmill Bond della Sberbank, che ha segnalato come le riserve sono “con tutta probabilità” in procinto di precipitare a livelli che richiedono controlli del capitale, a meno che le sanzioni occidentali non vengano sospese. Per quanto la Russia abbia 420 miliardi di dollari in riserve straniere, questo tesoro per finanziare la guerra non è grande quanto sembra per un paese che soffre di fughe croniche di capitali e che dipende grandemente dai fondi stranieri. Lubomir Mitov, dell’Institute of International Finance, ha detto che gli investitori devono iniziare ad agitarsi se il valore delle riserve arriva a 330 miliardi di dollari. Un politico populista come Evgeny Fedorov, scrive ancora Evans-Pritchard, ha chiesto di aprire un’inchiesta per crimini della Banca centrale. Molti critici sostengono che la Banca è stata conquistata dai “liberal femministi” ed è uno strumento del Fmi. Il procuratore generale ha aperto un’inchiesta.

 

[**Video_box_2**]Nelle ultime settimane la Banca centrale s’è rifiutata di intervenire per difendere il rublo, lasciando che il tasso di cambio sostenesse il peso dell’emergenza e impedendo così di bruciare le riserve per rimandare l’inevitabile, come fanno Nigeria e Kazakistan. Lasciando cadere il rublo, continua Evans-Pritchard nella sua analisi, ha protetto il budget russo dal crollo dei prezzi del petrolio, ma non del tutto. Secondo Deutsche Bank il bilancio fiscale diventa negativo quando i prezzi del greggio scendono sotto i 70 dollari il barile. La svalutazione però fa crescere i prezzi dei prodotti nei negozi e può innescare una crisi che si autoalimenta se evoca ricordi amari di passati crash della valuta. Il ministero delle Finanze ha detto di aspettarsi un’inflazione al 10 per cento nel primo trimestre del 2015. C’è già una corsa a comprare lavatrici, automobili e computer prima che i prezzi schizzino verso l’alto, un cambio di comportamento che segnala stress. Il crollo del rublo poi – continua l’analisi – sta facendo aumentare la pressione sulle aziende russe che devono affrontare il riscatto di 35 miliardi di dollari di debito estero a dicembre. I rendimenti sui bond a 10 anni della Lukoil sono saliti di 250 punti da giugno fino al 7,5 per cento.

 

La maggior parte delle compagnie russe è stata chiusa fuori dal mercato dei capitali da quando sono aumentate le sanzioni occidentali, in seguito all’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines a luglio. Queste aziende sono costrette a pagare i loro debiti, chiedere il sostegno alla Russia o dichiarare il default. Il gigante petrolifero Rosneft ha chiesto 49 miliardi di dollari di aiuti allo stato. Sberbank ha spiegato che le aziende devono ripagare 75 miliardi di dollari l’anno prossimo e non possono aspettarsi molti altri aiuti oltre ai 10 miliardi di dollari in capitale fresco proveniente dalla Cina. La banca ha anche spiegato che ci sono alcune aziende che stanno guadagnando dalla svalutazione, dal momento che vendono all’estero ma producono a livello locale. Queste aziende includono i gruppi dei metalli di base come Norilsk e Rusal, come i produttori di ferro, o i gruppi come Uralkali e PhosAgro. L’equity index della Russia è scambiato a 0,5 per cento del valore a libro. Raramente un mercato – conclude Evans-Pritchard – è stato così “cheap”.

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