Tieni a bada il populista
Due mosse da applausi in due giorni. Prima l’apertura di credito al bravo e per bene Pier Luigi Bersani (un capo dello stato mica male sarebbe). Poi, ieri, in Aula a Montecitorio, nel giorno in cui è stato approvato il Jobs Act, due millimetrici e calibrati schiaffetti a Matteo Salvini.
Due mosse da applausi in due giorni. Prima l’apertura di credito al bravo e per bene Pier Luigi Bersani (un capo dello stato mica male sarebbe). Poi, ieri, in Aula a Montecitorio, nel giorno in cui è stato approvato il Jobs Act, due millimetrici e calibrati schiaffetti a Matteo Salvini: “Voi puntate sulla rabbia, sulle paure dei cittadini”. E insomma Matteo Renzi fa capire che il patto del Nazareno si può allargare, che la minoranza del Pd e Bersani sono i benvenuti, che sono un pezzo di cuore e muscoli della sinistra, ma sono anche parte (se vorranno) di quella rinnovata costituency chiamata Nazareno, cioè quell’asimmetrico cosmo riformista che in Parlamento non conosce gesti schizzinosi né botti da circo massimo sindacale, che non teme i voti e l’abbraccio di Silvio Berlusconi (se questo serve al bene del paese, alla sua governabilità e alla sua maggiore civiltà democratica).
Ma contemporaneamente il presidente del Consiglio si allontana pure con piglio orgoglioso dal tumulto, dal ribollire disperato del populismo di Salvini (e dunque anche di Beppe Grillo), dal tribuno in ascesa e da quello in discesa, dagli urlatori impegnati in improduttiva e sempiterna altalena umorale: lì non c’è progetto politico, con le urla e l’eurofobia, con le flatulenze nativiste e con le cravatte verdi su petto nudo, non ci si combina niente. Dice Renzi: “Ci sono vari modi per relazionarsi ai cittadini. Mai come in questo momento è chiaro che c’è chi punta sulla rabbia, su messaggi di terrore verso il futuro, e chi invece cerca di rappresentare la realtà e di lavorare per risolvere i problemi”. Il Nazareno e loro. E non sono dunque quelli di Salvini i voti che Renzi cerca in Parlamento, non si può cavare sangue da una rapa. Non è da lì che si può rimettere in moto il processo democratico nell’Italia impantanata dalla più bestiale e recessiva crisi economica del secolo. Il rutto, come sanno Grillo e il guru Casaleggio – ma come hanno dimostrato in Europa quei grandissimi flop di successo chiamati Le Pen, Farage e Wilders – prima o poi evapora e si disperde come alito pesante nel nulla delle idee leggere. Farebbero dunque bene ad appuntarsi le parole di Renzi anche quei simpatici collaboratori del Cav. che ieri hanno strepitato contro l’approvazione del Jobs Act (vero Renato Brunetta?), e anche quelli che inseguono Salvini, che ne imitano le pose, che si mettono a tavolino, calcolatrice alla mano, in un angolo di Palazzo Grazioli, come se la politica si risolvesse nella somma aritmetica di farlocche percentuali verde padania raccolte dagli istituti di demoscopia. Quante eruzioni di consenso ha conosciuto l’Italia dei sondaggi? Dini sfondò la barriera del suono. Oggi un italiano su due non sa chi sia. La politica è consenso. Ma il consenso senza progetto politico, senza governo, senza idee, non serve a niente.
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