Dov'è il “prossimo miliardo” per cui Facebook s'inchina persino alla Cina
Quando Lu Wei è passato davanti alla scrivania di Mark Zuckerberg, nell’open space di Menlo Park che è il quartier generale di Facebook, è scoppiato in una risata. Sul tavolo, di fianco al MacBook, c’era “The governance of China”, il mattone da 500 pagine con tutti i discorsi di Xi Jinping.
Roma. Quando Lu Wei è passato davanti alla scrivania di Mark Zuckerberg, nell’open space di Menlo Park che è il quartier generale di Facebook, è scoppiato in una risata. Sul tavolo, di fianco al MacBook, c’era “The governance of China”, il mattone da 500 pagine con tutti i discorsi di Xi Jinping che l’ufficio della propaganda del Partito comunista cinese ha appena mandato in stampa. Posso sedermi?, chiede Lu. Mark accetta, e l’uomo che gestisce la gigantesca macchina della censura cinese si mette alla scrivania del fondatore di Facebook. Secondo un sito di informazione cinese, il primo a scrivere della strana diffusione dei libri della propaganda di Pechino negli uffici di Facebook, Zuckerberg ha detto a Lu: “Ho comprato delle copie (del libro di Xi Jinping) anche per i miei colleghi, vogliono che comprendano il ‘socialismo con caratteristiche cinesi’”, che è il termine con cui è indicata l’ideologia del Partito comunista. Lu deve essere stato soddisfatto della cosa, perché una foto pubblicata lunedì in Cina lo mostra ridere di gusto, seduto al posto di Zuckerberg, con il volume di Xi davanti e Mark di fianco.
Nel libro dei discorsi di Xi Jinping, Zuckerberg avrà trovato alcune perle di saggezza universale (le ha raccolte il Telegraph: Xi è un maestro dell’aforisma politico), come: “I bottoni della vita devono essere allacciati bene fin dall’inizio” (sull’educazione dei giovani), o: “La freccia non tornerà indietro una volta che l’hai scoccata” (sulle riforme in Cina). Troverà inoltre consigli su come “diffondere e mettere in pratica i valori basilari del socialismo” su internet. Si capisce perché quando la foto di Zuckerberg e Lu è stata pubblicata tutta la rete si sia scandalizzata, e perché a pubblicarla è stato un sito cinese, e non uno degli infiniti magazine specializzati americani che si allertano a ogni soffio di vento dentro la Silicon Valley, ma della visita di Lu quasi non hanno scritto.
Lu Wei è il direttore dell’Ufficio di stato delle informazioni su internet, l’agenzia che gestisce le politiche digitali del regime cinese, e vicedirettore dell’organo della propaganda dello stato. E’ un fumatore, un bevitore e un workaholic (così scrive di lui il New York Times), e da quando è in caricaha indurito le già dure norme della censura su internet in Cina, zittito i dissensi e condotto campagne di repressione che hanno portato all’arresto di molti attivisti.
Il tour americano di Lu Wei, iniziato la settimana scorsa per una conferenza, ha avuto qualche difficoltà a Washington, dove Lu è stato criticato. Ma quando si è spostato sulla west coast, nella Silicon Valley, Lu è stato portato in trionfo da tutti i giganti del tech americano. Ha incontrato Tim Cook di Apple, che gli ha fatto vedere in anteprima il nuovo Apple Watch (confidandogli che è la prima volta che lo fa provare a un esponente di uno stato estero). Ha scambiato risate con Jeff Bezos di Amazon, ha incontrato Eric Schmidt di Google, più le alte cariche di Yahoo, Linkedin e altri. Il suo colloquio con il ceo di eBay John Donahoe è stato trasmesso da una tv di Hong Kong – ovviamente mentre Donahoe elogiava la grandezza dei venditori cinesi.
La Cina è un paese autoritario dove la libertà di espressione è repressa brutalmente, dove due milioni di persone, secondo alcune stime, sono assoldati dal Partito per controllare e reprimere le voci dissonanti su internet, dove un “Grande firewall” chiude gli utenti cinesi in una bolla digitale dove solo le notizie gradite al regime comunista possono circolare. Lu Wei è a capo di molti di questi processi, è il grande censore che ha invocato di recente il diritto di “sovranità delle informazioni” per la Cina comunista, e dovrebbe essere un nemico giurato per la filosofia libertaria e anarchica che la Silicon Valley ancora ama proiettare sul pubblico. Ma c’è una ragione molto pratica per cui i libertari signori della Valley hanno accolto l’autoritatio Lu con un trattamento da capo di stato: è l’uomo che ha in mano le chiavi del gigantesco mercato digitale cinese.
[**Video_box_2**]Si parla spesso di “next billion” per indicare il prossimo miliardo di persone che a breve otterrà una connessione a internet. Entro il 2016 il traffico sulla rete è destinato a raddoppiare, soprattutto in Asia, e una prateria infinita di nuovi utenti ed enormi guadagni si sta per aprire in Cina, in India e nell’area del Pacifico. Ma se in India la Silicon Valley è già ben posizionata, l’ingresso alle potenzialità strepitose del mercato cinese, dove poco meno di metà della popolazione ancora non ha mai usato internet, è vietato a gran parte dei giganti del tech americani. Facebook e Twitter sono banditi dal paese, Google è stato ridotto a un player minore dopo infinite lotte. Nel mercato dell’internet cinese si gioca alle regole del Partito, e questo vuole dire che anche i giganti della Silicon Valley devono inchinarsi alle norme sulla censura, oscurare i siti quando il Partito lo chiede, consegnare i dati personali dei dissidenti se il Partito li vuole. Le aziende che si sono adattate a queste regole, come Yahoo, che in un caso famoso consegnò i dati di alcuni dissidenti al regime, sono rimaste, quelle che hanno provato a ribellarsi sono state cacciate. Finora la Valley ha usato come ragione di vanto liberale il proprio esilio dalla Cina, ma ormai conquistare il mercato asiatico, e il “prossimo miliardo” che lì si nasconde, è un obiettivo irrinunciabile – anche perché senza la presenza dei giganti americani, la Cina ha sviluppato compagnie competitive, da Alibaba a Tencent, che si espandono a loro volta. Così di recente Linkedin ha fatto scandalo perché ha accettato di censurare parte dei suoi contenuti in ossequio ai voleri del Partito, Apple ha acconsentito a ospitare parte dei suoi dati in Cina, alla mercé della censura, e la campagna di charme di Facebook è iniziata ben prima del posizionamento strategico dei libri di Xi, con il discorso di Zuckerberg (in cinese stentato) all’Università Tshingua di Pechino, dove studiano le élite. Allora alcuni sperarono che un possibile intervento di Facebook avrebbe aiutato ad aprire la rete cinese. Non conoscevano ancora le letture di Mark.
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