L’attuale direttore della Cia, John Brennan, davanti alla commissione Intelligence del Senato durante l’audizione per la sua nomina, lo scorso febbraio

La ribellione della Cia

Redazione

Sei ex capi dell’Agenzia confutano punto per punto il report del Senato sulle torture, dal postino di Bin Laden agli attacchi sventati. E ora che succederà?

Il Wall Street Journal ieri ha ospitato un articolo redatto dagli ex direttori della Cia George Tenet, Porter Goss e Michael Hayden (generale dell’aeronautica in pensione) e dai vicedirettori della Cia John McLaughlin, Albert Calland (ammiraglio della marina in pensione) e Stephen Kappes. E’ la risposta al report della commissione Intelligence del Senato americano sull’operato della Cia negli anni post 11 settembre che è stato pubblicato martedì e che denuncia un abuso di potere da parte dell’Agenzia dell’intelligence nelle tecniche di interrogatorio, dice che la Cia non ha informato correttamente il Congresso e che tutte le tecniche “brutali” utilizzate non sono state efficaci: cioè l’intelligence ottenuta non è stata utile nella guerra al terrorismo.
I leader che hanno guidato la Cia confutano le tesi del report e dicono fin dalla premessa che il documento “è stato redatto soltanto dalla maggioranza democratica della commissione” e che si tratta “di un’opportunità mancata per presentare uno studio serio ed equilibrato su una questione politica di grande importanza”. La commissione ha fornito invece “uno studio partisan costellato di errori di fatto e di interpretazione, essenzialmente un attacco di parte all’Agenzia che più ha fatto per proteggere l’America dopo gli attacchi dell’11 settembre”.

 

In nessun modo, scrivono gli uomini della Cia, vogliamo sostenere che “abbiamo operato perfettamente, specialmente nell’emergenza e nelle circostanze spesso caotiche che ci siamo trovati di fronte dopo gli attacchi dell’11 settembre. Come in tutte le guerre, ci sono cose che senza ombra di dubbio non dovevano accadere”. Per questo, dicono, “quando ne siamo venuti a conoscenza, abbiamo fatto istanza presso l’ispettore generale della Cia o al dipartimento di Giustizia e abbiamo cercato di correggerci”. Il paese, scrivono, e anche la Cia “avrebbero tratto beneficio da uno studio più bilanciato di questi programmi e di un corrispondente set di raccomandazioni”. Ma il report della commissione del Senato non è niente di tutto ciò, “non propone nemmeno una raccomandazione”. I capi della Cia che scrivono sul Wall Street Journal dicono che la loro opinione è condivisa sia dalla Cia sia dalla minoranza repubblicana presente nella commissione Intelligence che sta infatti pubblicando report di dissenso rispetto a quello votato.

 

Che cosa c’è di sbagliato allora nel documento del Senato? I leader della Cia proseguono per punti. “Primo, il report sostiene che il programma di interrogatori della Cia è stato inefficace nel produrre intelligence in grado di aiutarci a distruggere, catturare o uccidere terroristi, ma questa conclusione è inaccurata. Il programma è stato prezioso sotto tre punti di vista: ha portato alla cattura di operativi senior di al Qaida, rimuovendoli così dal campo di battaglia; ha portato alla distruzione di plot terroristici e ha impedito attacchi di massa, salvando le vite degli americani e dei nostri alleati; ha contribuito a farci avere moltissime informazioni sull’organizzazione di al Qaida e su come fare ad attaccarla e a renderla meno forte”.

 

A questo punto i capi della Cia entrano nel dettaglio e parlano del caso di Abu Zubaydah, un operativo senior di al Qaida, e di Khalid Sheikh Mohammed, noto come  KSM, che è il “mastermind” dell’11 settembre: “Siamo convinti – scrivono – che entrambi non avrebbero parlato se non ci fosse stato il programma di interrogatori”.

 

Le informazioni fornite da al Zubaydah attraverso gli interrogatori hanno portato alla cattura nel 2002 di Ramzi bin al Shibh, socio di KSM. Le informazioni ottenute da Zubaydah e al Shibh ci hanno portati a KSM. Poi KSM ci ha portati a Riduan Isamuddin, noto come Hambali, capo di al Qaida nell’Asia dell’est e organizzatore dell’attentato a Bali nel 2002, nel quale morirono 200 persone.

 

La rimozione di questi capi di al Qaida ha salvato migliaia di vite in quanto stavano lavorando ad altri attentati: anche KSM, sottolineano i leader della Cia, stava organizzando altri attacchi multipli quando è stato catturato. I capi della Cia continuano la loro spiegazione su come i programmi di interrogatorio sono stati utili per evitare che ci fossero altri attacchi. “Senza rivelare a KSM che Hambali era stato catturato, abbiamo chiesto a KSM che cosa sarebbe accaduto se Hambali non fosse più stato in grado di svolgere il suo lavoro. Così KSM ci ha parlato del fratello di Hambali, Rusman Gunawan. Abbiamo poi trovato Gunawan e le informazioni che ci ha dato lui ci hanno permesso di abbattere la cellula che aveva costruito, 17 uomini nel sud est asiatico, pronti per la ‘second wave’, una serie di attacchi in stile 11 settembre sulla costa ovest dell’America, compreso l’utilizzo di aerei per colpire palazzi. Se questi attacchi ci fossero stati, si sarebbe ripetuto l’orrore dell’11 settembre”.

 

Una volta che questi terroristi hanno incominciato a rispondere alle domande, sia Abu Zubaydah sia KSM sono diventati fonti preziose per comprendere l’organizzazione di al Qaida. “Siamo tornati molte volte da loro per avere informazioni interne al gruppo. Più di un quarto delle quasi 1.700 note a piè di pagina del molto autorevole report della commissione 11 settembre del 2004 e una parte significativa dell’intelligence che sta alla base del National Estimate su al Qaida del 2007 proviene dai detenuti interrogati, in particolare da Zubaydah e KSM”.

 

Anche su Osama bin Laden il report della commissione Intelligence del Senato sbaglia, sostengono i leader della Cia. “Non c’è alcun dubbio che le informazioni fornite da tutti i detenuti sotto la custodia della Cia, quelli sottoposti al programma di interrogatori e quelli no, sono state essenziali per prendere Bin Laden. La Cia non si sarebbe mai concentrata su quell’individuo che è poi risultato essere il postino personale di Bin Laden se non ci fossero stati gli interrogatori”. Proprio quel che è stato detto in quegli interrogatori durissimi hanno permesso alla Cia di mettere il postino in cima alla lista dei “lead” che avrebbero poi portato a Bin Laden. Anzi: “Un detenuto in particolare, sottoposto al programma di interrogatori, ha fornito le informazioni specifiche sul postino”. In più, KSM e Abu Faraj al Libi, entrambi soggetti a interrogatori, mentirono sul postino in un momento in cui entrambi stavano dando risposte su molti altri argomenti: “Siccome molti altri detenuti stavano legando il postino a KSM e Abu Faraj, loro cercavano di nascondere la sua fondamentale importanza”. Per cui la conclusione secondo i leader della Cia è chiara: “Il programma di interrogatorio ha costituito una parte essenziale delle fondamenta da cui è partita la missione della Cia e dell’esercito per la cattura di Bin Laden”.

 

Il secondo problema che i capi della Cia riscontrano sul report del Senato è la denuncia di un abuso di potere da parte dell’Agenzia, cioè il fatto che gli interrogatori fossero andati oltre a quanto stabilito dal dipartimento della Giustizia. Anche qui: “That claim is wrong”. Il ministro della Giustizia di Obama, Eric Holder, ha nominato un procuratore esperto, John Durham, per investigare il programma di interrogatori nel 2009. Durham ha cercato di capire se negli interrogatori della Cia erano state usate tecniche non autorizzate, e se sì, se queste tecniche costituivano una violazione degli statuti criminali degli Stati Uniti. In un comunicato stampa, il ministro della Giustizia ha detto che Durham “ha esaminato ogni possibile coinvolgimento della Cia rispetto agli interrogatori e alla detenzione di 101 prigionieri che erano in custodia degli Stati Uniti” dopo gli attacchi dell’11 settembre. L’inchiesta si è conclusa nel 2012 e, scrivono i leader della Cia, “è stata un’inchiesta professionale ed esaustiva e ha stabilito che non erano state commesse alcune offese perseguibili”.

 

In terzo luogo, il report del Senato sostiene che la Cia ha mentito al dipartimento di Giustizia, alla Casa Bianca, al Congresso e al popolo americano e anche questo è “del tutto errato”. Gran parte dei ragionamenti su questo tema si basa sul fatto che il programma di interrogatori non è considerato efficace, “un’argomentazione che non si basa sui fatti”.

 

Il quarto punto, secondo i capi della Cia, è “un elemento essenziale per capire il programma” di cui il report si è totalmente dimenticato: “Il contesto. Il programma di detenzioni e interrogatori è stato pensato dopo l’assassinio di quasi tremila persone l’11 settembre”. In quel periodo, scrivono, “sembrava che ci fosse una ‘bomba a orologeria’ ogni singolo giorno: avevamo prove che al Qaida stesse programmando una seconda ondata di attacchi contro l’America; avevamo notizie del fatto che Bin Laden si fosse incontrato con scienziati nucleari pachistani e volesse armi nucleari; avevamo report su armi nucleari infiltrate a New York; avevamo prove del fatto che al Qaida stesse cercando di produrre antrace.

 

In quest’atmosfera, il tempo era essenziale e la Cia sentiva una grande responsabilità nel fare in modo che attacchi come quello dell’11 settembre non avvenissero mai più”. Non c’era la possibilità di discutere con assassini brutali “che non esitavano a decapitare degli innocenti” e “avevano ricevuto un addestramento anti interrogatorio molto efficace nei campi di al Qaida”. Ma questi assassini “erano in possesso di informazioni che avrebbero potuto distruggere piani terroristici e salvare vite americane”.
I capi della Cia ammettono che allora l’Agenzia non era pronta a mettere in atto il programma di interrogatori: “Il report della commissione del Senato dice che la Cia a quel punto aveva scarsa esperienza nella cattura, detenzione o nelle tecniche di interrogatorio dei terroristi. E’ vero. Ma eravamo stati incaricati dal presidente di fare queste cose in una situazione di emergenza – in un momento in cui non c’era tregua dalla minaccia e non c’era il lusso di prendere tempo prima di agire. La nostra speranza è che nessuno debba mai affrontare questa situazione di nuovo”.

 

[**Video_box_2**]Un altro fatto che la commissione del Senato ha praticamente ignorato, inoltre, è che “la Cia non agiva da sola nella gestione del programma di interrogatori”. L’Agenzia ha cercato il sostegno e l’approvazione di tutti gli organi di vigilanza, e il programma di interrogatori era approvato dall’Amministrazione e considerato legale: “Nel corso del processo, ci sono stati colloqui con il consigliere per la Sicurezza nazionale, con il viceconsigliere per la Sicurezza nazionale, con il consigliere giuridico della Casa Bianca e con il dipartimento di Giustizia. Il presidente ha approvato il programma. Il procuratore generale lo ha giudicato legale”. La collaborazione è stata massima, ma non sempre l’Agenzia ha ottenuto il sostegno e la guida di cui avrebbe avuto bisogno: “La Cia è andata dal procuratore generale per un giudizio legale quattro volte – e l’Agenzia ha fermato il programma due volte per assicurarsi che il dipartimento di Giustizia lo ritenesse ancora in linea con la policy, la legge e gli obblighi diplomatici dell’America. La Cia ha cercato sostegno e conferme del programma da policymaker di alto grado dell’Amministrazione almeno quattro volte. Noi contavamo sulle loro linee guida e sui loro giudizi legali. Non ne abbiamo ricevuto nessuno. La Cia ha trasmesso ogni accusa di abusi all’ispettore generale confermato dal Senato e al dipartimento di Giustizia. L’alta dirigenza della Cia ha inviato circa 20 casi al dipartimento di Giustizia, e funzionari in carica del dipartimento hanno deciso che solo uno di quei casi – non legato al programma formale di interrogatori – meritava un’incriminazione. Questa persona è stata condannata alla prigione”.

 

L’azione della Cia è stata approvata anche dal Congresso, dicono i capi dell’Agenzia. Inizialmente, “su richiesta del presidente”, “i briefing erano ristretti alla cosiddetta Gang of Eight dei maggiori leader del Congresso – una limitazione permessa dalla legislazione per le operazioni sotto copertura. I briefing erano dettagliati ed espliciti e hanno suscitato reazioni che variavano dall’approvazione alla non contrarietà. I briefing non hanno risparmiato nessun elemento”. E al contrario di quanto avviene oggi, l’opinione dei legislatori non era affatto scandalizzata: “In un briefing alla commissione Intelligence del Senato dopo la cattura di KSM nel 2003, i membri della commissione misero in chiaro che volevano che la Cia fosse estremamente aggressiva al fine di apprendere cosa KSM sapesse dei nuovi piani. Un senatore si sporse in avanti e disse con forza: ‘Avete tutte le autorizzazioni di cui avete bisogno per fare quello che dovete fare?’”.

 

A partire dal settembre del 2006, dicono i capi della Cia, l’Amministrazione ha deciso di informare del programma di interrogatori tutta la commissione Intelligence. Era l’occasione per instaurare un dialogo serio con le commissioni di vigilanza, ma “le commissioni hanno perso la possibilità di aiutare a plasmare il programma – non riuscirono a trovare il consenso. Il settore esecutivo è stato lasciato a procedere da solo, limitandosi a mantenere informate le commissioni”, ma di tutto questo il report non parla.

 

Una delle cose più difficili da comprendere, inoltre, è perché la commissione non abbia mai interrogato molte persone dentro la Cia che si occupavano del caso, come per esempio gli stessi capi dell’agenzia: “Lo staff ha evitato di intervistare ciascuno di noi che siamo stati coinvolti nella creazione o nella gestione del programma, ed è la prima volta che quello che dovrebbe essere uno studio completo di una commissione selezionata dal Senato sull’Intelligence è gestito in questo modo. La scusa data dai senatori della maggioranza democratica è che gli ufficiali della Cia erano sotto indagine da parte del dipartimento della Giustizia e dunque non potevano essere disponibili. Questa è una sciocchezza. Le indagini di cui si parla sono state completate nel 2011 e 2012 e sono state fatte solo su certi funzionari. La commissione non si è mai rivolta ai sei ex direttori e vicedirettori della Cia, che avrebbero tutti potuto aggiungere verità di prima mano allo studio. Eppure dalla stampa si legge che lo staff della commissione ha ritenuto opportuno sentire almeno un avvocato di uno dei terroristi di Guantanamo”.

 

La conclusione dei capi dell’Agenzia è che “i membri dello staff della commissione non volevano il rischio di avere a che fare con dati che non confermavano le loro tesi. Questa è un’altra delle ragioni per cui lo studio è così sbagliato. Quello che è successo nella preparazione del report è evidente: lo staff ha manipolato i risultati in via preliminare affinché lo studio desse certe risposte, soprattutto riguardo alla questione dell’efficacia degli interrogatori nel produrre intelligence che hanno aiutato a catturare terroristi. I membri dello staff dunque hanno selezionato quello che volevano in sei milioni di pagine di documenti, ignorando alcuni dati e sottolineandone altri, per costruire la loro accusa contro l’efficacia del programma”.

 

Questo significa politicizzare l’operato dell’Agenzia e il giudizio su di essa. Per i capi della Cia, le conseguenze di questo comportamento saranno gravi, e aumenteranno il “pericolo per il popolo americano e per i nostri alleati: molti ufficiali della Cia saranno preoccupati che essere coinvolti in azioni politicamente delicate, benché legalmente approvate, possa diventare motivo di controllo politicamente motivato e censura da parte di una futura Amministrazione. I partner dell’intelligence straniera avranno ancora meno fiducia nel fatto che Washington, già danneggiata dai leak, sarà in grado di proteggere la loro collaborazione dal controllo pubblico. Ridurranno la cooperazione con gli Stati Uniti. I terroristi, avendo ottenuto ora il più grande rifugio (nel medio oriente e in nord Africa) e la più grande serie di successi un decennio, avranno un altro strumento utile per il reclutamento”.

 

La Cia, dicono i suoi ex leader, non è contraria a una vigilanza esterna, anzi: ne ha spesso tratto beneficio, “quando il lavoro di vigilanza funziona bene, è bilanciato, è critico in modo costruttivo e discreto – e offre buoni consigli”. Ma “il report della commissione Intelligence del Senato è irrispettoso di questi standard. E’ giusto chiedersi se il programma di interrogatori era una scelta giusta, ma la commissione non si fa mai la più difficile delle domande”.

 

I leader della Cia si chiedono che cosa avrebbero fatto al posto loro “quelli che amano le scelte semplici di oggi”, e immaginano che non sarebbero stati per niente a loro agio. “Davanti ai problemi del dopo 11 settembre, gli ufficiali della Cia sapevano che molti avrebbero messo in discussione le loro decisioni”, continuano, “ma credevano anche che sarebbero stati moralmente responsabili per la morte di loro concittadini se non fossero riusciti a ottenere informazioni che avrebbero potuto fermare i prossimi attacchi. Tra il 1998 e il 2001, la leadership di al Qaida in Asia del sud ha attaccato due ambasciate nell’Africa dell’est, una nave da guerra americana nel porto di Aden, Yemen, e il territorio americano – il più mortifero singolo attacco contro gli Stati Uniti nella storia del paese. La leadership di al Qaida non è riuscita a fare un altro attacco all’America nei 13 anni successivi, benché volesse farlo. Le pratiche e i programmi aggressivi di controterrorismo della Cia hanno il merito di questo successo”.

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