L'Alfano che visse due volte
Era ininfluente ed è risorto. All’alba del governo di Matteo Renzi, al giovane presidente del Consiglio venivano attribuite dai giornali frasi di questo tono nei riguardi del suo (ereditato da Enrico Letta) ministro dell’Interno: “Ma chi, Alfano l’inutile?”.
Era ininfluente ed è risorto. All’alba del governo di Matteo Renzi, al giovane presidente del Consiglio venivano attribuite dai giornali frasi di questo tono nei riguardi del suo (ereditato da Enrico Letta) ministro dell’Interno: “Ma chi, Alfano l’inutile?”. E certo la stampa di Palazzo sa essere maliziosa e crudele nel riportare, e colorire, le sfumature del pensiero. Eppure il colore giornalistico talvolta dà il senso e la misura dei fatti politici. E infatti Renzi non lo ha mai preso troppo sul serio l’oblungo Alfano: a ottobre, per esempio, quando la polizia manganellò alcuni operai di Terni, e Alfano si trovava a Palermo per sbrigare certe pratiche di sottobosco politico siciliano, Renzi, spicciativo, lo fece richiamare a casa da Andrea Orlando. E quando il poveretto immaginò di cavalcare l’articolo 18 per attestare in pubblico la propria vivace fede nella libertà del mercato, anche in quel caso Renzi fu laconico: “L’articolo 18? Non serve parlarne adesso”.
Tutto un tirar di scappellotti, schiaffetti del soldato, con Alfano al centro e il governo dei boy scout tutt’intorno a sghignazzare. Fino a ieri, cioè da quando il destino di Roma capitale, e del suo comune, è finito proprio nelle mani del ministro mobbizzato e négligeable: scioglimento, commissariamento, commissariamento duro o commissariamento morbido? In questa altalena, in questo clima sospeso, nell’attesa che il prefetto di Roma termini le sue indagini, l’Alfano rinato, e sadico per contrappasso, si frega le mani. E insomma conquista finalmente l’attenzione del bullo di Palazzo Chigi. E guarda un po’ ottiene (pare) l’abbassamento della soglia di sbarramento nella nuova legge elettorale.
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