Dietro la guerra dell'euro
Merkel e le mosse per frenare il bazooka Bce (Tsipras chi?)
Rientra il panico finanziario, rimane l’opposizione tedesca agli stimoli. Quasi per convenzione oramai si fa partire tutto dalla Grecia, comodo epicentro del panico finanziario, condannata alla perenne espiazione di colpe passate.
Roma. Quasi per convenzione oramai si fa partire tutto dalla Grecia, comodo epicentro del panico finanziario, condannata alla perenne espiazione di colpe passate. Le elezioni presidenziali in Grecia erano cosa nota, l’anticipazione del voto è stata una sorpresa che ha motivato il nervosismo dei mercati suscitando una manciata di interrogativi: e se Antonis Samaras non riuscisse a imporre il suo candidato? Il leader della sinistra Alexis Tsipras avrà la meglio in caso di elezioni generali? Domande valide ma effimere perché i problemi veri sono altrove. E i mercati lo confermano.
Ieri la Borsa di Atene ha perso lo 0,8 per cento, dopo il meno 12,58 di martedì; ovvero il peggior risultato da 27 anni, ben prima della crisi dell’euro. Ma poi, durante la seduta, il nervosismo dei mercati è stato più composto: Milano e Parigi a meno 0,8, Francoforte in positivo. Tutti gli spread si sono – questo è innegabile – allargati, tornando per l’Italia a 137 punti verso i Bund tedeschi, punti corrispondenti a un rendimento dei Btp decennali del 2,06 per cento, comunque sui livelli minimi per il Tesoro. L’asta di Bot annuali – 5,5 miliardi collocati allo 0,41 per cento dallo 0,33 di un mese fa, con una richiesta quasi doppia dell’offerta – è considerata soddisfacente. Medesima situazione per la Spagna, risalita a 118 di spread e all’1,87 di rendimento. Dunque gli operatori hanno sì venduto debito dei paesi periferici dell’euro, ma soprattutto si sono nuovamente precipitati sui titoli pubblici di Berlino. Così la questione greca rischia soprattutto di complicare e aggiungere incertezza al calendario che si era prefigurato Mario Draghi per lanciare, all’inizio di gennaio, il nuovo Quantitative easing (Qe) sotto forma di acquisto di titoli sovrani. Ovvero l’unica mossa capace di dare una spinta all’Eurozona stagnante. La Banca centrale europea oggi comunicherà le richieste per la seconda tranche di prestiti finalizzati alle banche (Tltro, target longer term refinancing operation): l’attesa è per non più di 150 miliardi, che portano l’attivo dell’Eurotower comunque lontano dall’aumento di mille miliardi di finanziamenti già approvato all’unanimità.
Ma ciò che accade ad Atene sembra fatto apposta per dimostrare che la periferia dell’euro è tutt’altro che in sicurezza, almeno dal punto di vista di tedesco. Infatti il premier conservatore, Antonis Samaras, dopo avere inutilmente chiesto di allentare un po’ i vincoli della Troika europea – ed aver ricevuto il “no” della Germania – per giocare d’anticipo ha indetto per il 17 dicembre l’elezione del presidente della Repubblica. L’obiettivo è non dare modo ad Alexis Tsipras, leader della sinistra de L’altra Europa, di organizzarsi, mentre alla maggioranza mancano 25 parlamentari per eleggere il capo dello stato. In caso di stallo si va alle elezioni generali, con Tsipras favorito. Contrariamente a quanto si dice a Berlino e dintorni, il 40enne leader della sinistra non è affatto deciso a portare la Grecia fuori dall’euro, ma invece a negoziare le condizioni migliori per rimanerci.
[**Video_box_2**]Il pretesto greco e la Germania riluttante
Dunque il sospetto, ora come per tutti questi anni, è che il caso greco venga agitato per imporre all’Europa un’altra stretta rigorista. Come ha scritto Antonio Pilati sul Foglio (“L’Anschluss secondo Angela”), l’architettura congegnata dalla Germania si basa su un meccanismo di annessione e non di federazione. E la moneta comune, con i dogmi che la circondano, è il cardine del sistema così come lo fu il cambio alla pari del marco con la ex Ddr. Germania, ovvero un egemone riluttante a condurre il gioco europeo e a concentrarsi sugli investimenti domestici, scriveva Martin Wolf sul Financial Times di ieri (un commento scritto quando la Borsa di Atene crollava, come a dire che il problema non è Tsipras ma Merkel). I portatori dei dogmi dell’euro rialzeranno la testa nel vertice della Bce. Secondo la Welt, Draghi non avrebbe più il controllo del board a sei (due con lui – Francia e Portogallo – tre contro – Lussemburgo, Belgio e Germania). In caso di parità prevale il voto del presidente, che però dovrà cercare il consenso dei governatori. Situazione che richiederà diplomazia – Draghi avrebbe cercato di coinvolgere il governo tedesco nelle trattative sul Qe, dice la Zeit – e anche una salda sponda da parte dei governi di Parigi e Roma (il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan s’è esposto dicendo che l’Europa “deve proseguire verso il Qe”). Si rompono riti, si compongono fazioni, ma di certo la guerra dell’euro non si combatterà ad Atene.
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