Marò, che fare
La giustizia indiana mortifica di nuovo i nostri Marò e la “forte contrarietà” espressa dal presidente Napolitano suona come un eufemismo. I nostri soldati avevano chiesto un’attenuazione delle condizioni di libertà vigilata.
La giustizia indiana mortifica di nuovo i nostri Marò e la “forte contrarietà” espressa dal presidente Napolitano suona come un eufemismo. I nostri soldati avevano chiesto un’attenuazione delle condizioni di libertà vigilata: Massimiliano Latorre anelava a prolungare in Italia fino al 13 gennaio la convalescenza per l’ictus che lo ha colpito (deve anche operarsi), Salvatore Girone sperava di rientrare per tre mesi in occasione delle feste (era già accaduto l’anno scorso). La Corte suprema indiana si è rifiutata di esaminare le loro richieste. Scontata, almeno quanto sacrosanta, la reazione irritata, cui inevitabilmente si aggiungeranno le attestazioni pelosette d’indignata solidarietà da parte dell’inerte ceto politico italiano, e delle variopinte destre (peraltro inermi) in particolare. Resta da considerare, adesso, se esista qualcosa di più che non l’astratto vociare dello scontento.
E’ forse giunto il momento d’immergersi nel realismo e arretrare la posizione per trovare un compromesso con Nuova Delhi. Lo ha già fatto il nostro collaboratore e parlamentare del Pd Luigi Manconi, l’8 dicembre scorso, sulla base di un suggerimento proveniente dall’Unione degli induisti italiani. Si tratta di rubricare “come omicidio colposo” i fatti risalenti al 15 febbraio 2012 e imputati ai due militari. Risultato, come suggerisce Manconi: “Nell’ordinamento penale indiano come in quello italiano, quell’omicidio colposo consentirebbe loro di avere la libertà. Ciò in virtù della scadenza dei termini della misura di custodia cautelare, prevista per quella fattispecie penale”. Non sarebbe poi così umiliante abbandonare la difesa ideale dell’innocenza completa, per riconoscere invece una mezza colpevolezza e ottenere la soluzione concreta.
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