Kim la pagherà, ci racconta un hacker

Redazione
Roma. “Quei figli di puttana non la passeranno liscia”. Quanto accaduto al film “The Interview”, l'hackeraggio alla Sony Picture, le minacce ai cinema che avrebbero ospitato la pellicola, ha aperto un dibattito interno al mondo della lotta informatica e più che un malumore. Abbiamo parlato ieri con

Roma. “Quei figli di puttana non la passeranno liscia”. Quanto accaduto al film “The Interview”, l’hackeraggio alla Sony Picture, le minacce ai cinema che avrebbero ospitato la pellicola, ha aperto un dibattito interno al mondo della lotta informatica e più che un malumore. Abbiamo parlato ieri con un hacker, che ci ha detto che quanto successo ha creato “profondo imbarazzo anche in chi cose simili ne ha fatte e ne continuerà a fare”. Se l’attacco nell’esecuzione e nei metodi infatti è assimilabile a quello impiegato dalle comunità hacker, “sono le finalità a essere contrarie al nostro credo e alla nostra etica. Quello che è stato fatto da questo fantomatico Gop (Guardians of peace) non è hackeraggio, ma criminalità informatica finalizzata alla censura e all’intimidazione”. Sia l’attacco di matrice nordcoreana o meno, il problema “è che ciò che è stato fatto è qualcosa di intollerabile prima di tutto per chi da anni lotta, hackerando, per la libertà di espressione, per la trasparenza e per la ricerca della verità. Hackerare per bloccare l’uscita di un film, che per di più è una commedia, è qualcosa di inaudito, è l’esatta antitesi di quanto in questi anni abbiamo cercato, con alterne fortune, di perseguire sia individualmente che collettivamente”.

 

L’umore è tetro, un misto di imbarazzo e rammarico, astio e risentimento. “Mi sono sempre considerato membro di un collettivo che cerca di migliorare le cose, di fare luce dove ci sono ombre. Questo sono gli hacker. Per molti siamo criminali informatici, ma quello che facciamo lo facciamo per perseguire uno scopo che va oltre i nostri interessi personali, lo facciamo per una causa comune. Chi ha hackerato Sony invece l’ha fatto per aiutare un sistema totalitario nel quale la libertà di espressione non è nemmeno contemplata. E’ per questo motivo che ne stiamo parlando, stiamo analizzando la situazione e non è detto che almeno una parte di noi possa agire di conseguenza, colpire chi ha bloccato ‘The Interview’ con le stesse armi. C’è chi sta già mettendo in piedi qualcosa, anche se al momento cosa non lo sappiamo”.

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