Veto di fiducia
Prodi, D'Alema e le mosse dei guastatori per il Quirinale
I colloqui con Napolitano e i messaggi di Renzi alla minoranza ribelle del Pd
Napolitano e Romano. Domenica in televisione, ospite di Fabio Fazio, Matteo Renzi ha detto, parlando della complessa vicenda del Quirinale, che né Forza Italia né nessun altro partito potrà mettere dei veti sui nomi per il Colle. E, in un’intervista a Repubblica, un assai prudente Silvio Berlusconi ha fatto sapere che lui non intende fare il difficile e mettere veti. Ma in realtà il Cavaliere un veto lo ha già messo. Grosso come una casa. E’ quello su Romano Prodi. Veto che sta più che bene al presidente del Consiglio dal momento che nemmeno lui vuole l’ex premier dell’Ulivo che, ne è convinto, sarebbe usato contro il suo governo e la sua leadership. E a dire il vero, chi frequenta il Quirinale sostiene che nemmeno Giorgio Napolitano sarebbe entusiasta di un simile successore.
Prodiani all’arrembaggio. Ma perché parlare di Prodi, si dirà, dal momento che per l’ennesima volta la sua portavoce Sandra Zampa, deputata del Pd, entrata in Parlamento con Pippo Civati (proprio colui che ha candidato l’ex premier alla presidenza della Repubblica) ha smentito ogni interesse dell’ex presidente della Commissione europea per il Quirinale? Già, perché? Forse perché anche lo scorso anno Zampa con identico ardore aveva smentito ogni illazione a riguardo e poi Romano Prodi aveva lasciato tranquillamente che l’allora segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani lo candidasse ufficialmente all’alto Colle?
La salita di Max. Ma intanto c’è un altro “vecchio” politico che si agita molto per questa corsa al Colle. Non perché pensi di essere più in gara, come pure gli era capitato di pensare e sperare in passato, ma perché vorrebbe in tutti i modi scombinare gli eventuali giochi di Matteo Renzi. Si sta parlando di Massimo D’Alema. Dicono i bene informati che l’ex ministro degli Esteri sarebbe salito fino al Quirinale per un colloquio privato con Giorgio Napolitano e per cercare di spiegare al presidente della Repubblica quanto sia inaffidabile il premier e quanto sia pericoloso lasciarlo fare da solo nella partita sull’elezione del suo successore, senza tentare di condizionarlo e di mettere le basi perché in futuro Renzi non possa avere troppi spazi di manovra. Pare che quel colloquio franco e cordiale, come si sarebbe detto in un comunicato della Prima Repubblica, non sia andato bene.
[**Video_box_2**]Oltre le riunioni. Ma c’è una frase, una brevissima frase, pronunciata domenica sera da Matteo Renzi nell’intervista televisiva con Fabio Fazio che è sfuggita ai più, ma, ovviamente, non a quelli ai quali era indirizzato il suo messaggio. Il presidente del Consiglio ha detto che nemmeno il Partito democratico può mettere veti sull’elezione del capo del stato. Un segnale inequivocabile diretto ai suoi avversari interni perché non pensino di fare doppi giochi con lui soprattutto, perché non si illudano di poter dire dei no. Va bene essere democratici, va bene riunire la direzione è riunire i gruppi parlamentari e discutere fino allo sfinimento. Ma nessuno pensi di mettere un veto al segretario.
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