Salvini è la fotocopia di Grillo
Tutte le incongruenze del programma (?) economico leghista. Ora che Alexis Tsipras ha smentito l’abbandono dell’euro in caso di vittoria alle elezioni greche, è lecito porre qualche domanda al leader della Lega, che invece continua a farne il caposaldo della propria campagna.
Ora che Alexis Tsipras ha smentito l’abbandono dell’euro in caso di vittoria alle elezioni greche, è lecito porre qualche domanda a Matteo Salvini, che invece continua a farne il caposaldo della propria campagna. Tanto più paragonando la Grecia – che pur marginale nell'eurozona ha pagato un tributo salatissimo alla Troika – a un’area veneta e lombarda ricca, ordinata e pienamente inserita nell’Europa, ovvero nel milieu mitteleuropeo. “Fuori dall’euro. Subito!”, annuncia il programma del Carroccio. Però Claudio Borghi Aquilini, economista e consigliere economico di Salvini, definisce “un imbroglio” il referendum anti-euro di Beppe Grillo: “Non vale per i trattati internazionali, servono due terzi del Parlamento”. Magari serve anche altro, visto che non esiste una exit strategy dalla moneta unica tranne quella, raccontata dal Foglio, della valuta a due velocità ipotizzata a Berlino. Ma è la sostanza che Salvini pare ignorare: il ritorno alla lira costerebbe una svalutazione di almeno il 40 per cento e il debito pubblico volerebbe a oltre il doppio del pil. Cioè il default.
Analogamente si svaluterebbero i 450 miliardi di titoli di stato delle banche, e i beni liquidi e quelli immobiliari di famiglie e imprese: tutti per due terzi basati al nord. Per Salvini l’export dovrebbe risolvere ogni cosa: ma non vede che le esportazioni già tirano mentre languono investimenti e consumi, che continuando a essere calcolati in euro e diverrebbero proibitivi? L’altro slogan, il regionalismo acceso, mostra tutti i suoi limiti (e costi) in Spagna e nel Regno Unito, dove le autonomie sono una cosa seria. In Italia il problema è opposto, ridurre numero e poteri delle regioni. Il nord è virtuoso, ma si può dire altrettanto del sud al quale ammicca il leader con la felpa? Non è tutto, non basta sconfinare sotto il Po. Salvini strizza l’occhio all’elettorato cigiellino attaccando il Jobs Act e rimuovendo dalla memoria la flessibilità di Marco Biagi (con Roberto Maroni ministro del Lavoro e delle Politiche sociali). Salvini promette dunque un’aliquota fiscale unica al 15 per cento, come in certi paesi balcanici – vedi l’Albania che ci sbertuccia – e baltici con debito quasi a zero: suggestiva idea, ma durante i governi del Cavaliere non fu possibile neppure la flat tax al 33. Per Salvini però si può fare: ovviamente dovrebbe spiegare esattamente come. Diversamente sarà un altro Grillo, ma due anni dopo.
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