La cancelliera tedesca Angela Merkel (foto LaPresse)

Berlino flirta con l'euro break-up

Redazione

L’effetto contagio c’è. Eccome. I mercati finanziari ieri hanno risposto con il linguaggio dei numeri alla prospettiva di un’uscita della Grecia dall’euro. Prospettiva di puro conio tedesco, ovvero avanzata da un articolo condito da “fonti governative” dello Spiegel cui la diplomazia di Berlino ha reagito con placida tranquillità.

Milano. L’effetto contagio c’è. Eccome. I mercati finanziari ieri hanno risposto con il linguaggio dei numeri alla prospettiva di un’uscita della Grecia dall’euro. Prospettiva di puro conio tedesco, ovvero avanzata da un articolo condito da “fonti governative” dello Spiegel cui la diplomazia di Berlino ha reagito con placida tranquillità, senza smentire immediatamente o con forza, ma lasciando correre la fantasia dei mercati, quasi non si parlasse della rottura dell’Eurozona.

 

Le dichiarazioni di Angela Merkel sono state rassicuranti ma la cancelliera si è limitata a dire che “la Germania è sicura che Atene continuerà a rispettare i suoi impegni”. La Francia s’è accodata all’appello. Il tiro al bersaglio da parte dei media tedeschi è continuato. Dopo lo Spiegel, è scesa in campo ieri la stampa popolare, ansiosa di recuperare il terreno perduto nella gara a chi impallina Atene. Nell’editoriale di Jan Schäfer pubblicato dalla Bild si legge tra l’altro: “Se i radicali di sinistra – ovvero Syriza – vincono le elezioni di fine gennaio e sospendono gli impegni assunti a livello europeo, il governo tedesco esibirà il cartellino rosso. Un passo che doveva essere compiuto già da tempo!”. Anche perché “l’euro può benissimo vivere senza i greci” (tanto ci sono i nuovi arrivati lituani, vien da aggiungere). Ribatte a distanza Wolfgang Munchau dalle colonne del Financial Times che pure la Grecia vivrebbe megliolontano dall’euro. La tesi di Munchau è che Atene, gravata da un debito pari al 175 per cento del pil, non ha alcuna possibilità di ripagare il suo passivo secondo le regole attuali. Anzi, il paese che andrà alle urne il 25 gennaio in un confuso panorama elettorale – a spaccare il partito socialista Pasok ci ha pensato l’ex premier George Papandreou che, irrefrenabile, ha presentanto il suo “Movimento per il cambiamento” – vive sopra una bomba ad orologeria già innescata. Atene, infatti, gode di una sorta di moratoria sugli interessi, per cui paga ai creditori (all’80 per cento istituzioni pubbliche internazionali, cioè Fondo monetario internazionale, Unione europea e Banca centrale europea) un tasso del 2,4 per cento, addirittura inferiore al servizio del debito pubblico tedesco.

 

[**Video_box_2**]Ma la clausola decadrà nel 2023, scadenza che pare lontana ma che è invece ben presente nei ragionamenti degli operatori dei mercati monetari. Il risultato? “E’ evidente – scrive Munchau – che la Grecia non ha alcuna possibilità di farcela senza una ristrutturazione del debito. Ma non credo che sia possibile, nell’attuale cornice dell’Eurozona, una ristrutturazione del debito”. Insomma, al di là delle manovre tattiche – vedi le interferenze tedesche nella campagna elettorale greca – l’Europa è destinata a vivere almeno fino al giorno delle elezioni greche, un doppio bluff: da una parte quello di Alexis Tsipras, leader di Syriza, il quale ritiene che l’Unione europea (la Germania in primis) adotterà un atteggiamento più morbido. Dall’altra la determinazione del governo tedesco le cui “fonti” attraverso l‘articolo sullo Spiegel hanno voluto mettere alla prova la scocca della sinistra radicale e fors’anche saggiare la reazione dei mercati alla prospettiva di un “euro break-up” per quanto confinato alla Grecia. Un braccio di ferro che, secondo Guy Verhofstadt, leader dei liberali europei, rischia di costare “miliardi ai contribuenti”. “Solo per la Germania – ha detto – il costo di un ipotetico Grexit sarebbe di 80 miliardi”. Senza tener conto dell’effetto sugli investimenti privati che, almeno a parole, l’Europa intende sollecitare. In questo contesto la finanza europea si avvia allo slalom di fine mese: il giorno 14 l’avvocatura generale del Consiglio europeo si pronuncerà sul ricorso della Bundesbank contro le misure prese da Mario Draghi nel 2012; il 22 sarà la volta della Bce, che dovrà adottare un quantitative easing che non escluda la Grecia (come ha intimato Tsipras) ma non urti troppo i falchi del nord Europa. Poi le elezioni greche. Un crescendo che piomba su dei mercati surreali: l’inflazione tedesca è allo 0,2 per cento, i tassi di mercato veleggiano verso lo zero. Per l’Europa s’aggirano ormai 240 miliardi di titoli di stato a rendimento negativo. Uno stato di inquietudine che si sta spingendo ai massimi livelli, e la spinta questa volta arriva da Berlino.

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