I crimini di Assad
La priorità è quella di “distruggere” lo Stato islamico. Ma i corpi morti, emaciati e brutalizzati, delle foto di Zaman al Wasl non devono passare inosservate, così come non dobbiamo dimenticare dove e come tutto è cominciato. La ferocia del regime siriano ci ricorda come e dove tutto ha avuto inizio.
Da queste parti non si amano gli hashtag che diventano simboli di una strategia politica, soprattutto quando quella strategia si rivela poco efficace: tendiamo a tenercene lontani. Facciamo un’eccezione oggi perché certe immagini non si possono spiegare e perché questo hashtag non avrà la fortuna di molti altri, diventati brand da stampare sulle magliette: digitate su Twitter #SyriaMassTorture e guardate. Corpi seminudi. Corpi scheletrici. Corpi torturati. Corpi piagati. Corpi picchiati. Corpi giovani. Corpi morti. Sacchi di plastica trasparenti. Corpi nei sacchi. File di corpi a terra. Un soldato siriano si avvicina ai cadaveri, s’infila un guanto di plastica, guarda nell’obiettivo, sorride. Due soldati siriani si mettono in posa, con i loro guanti di plastica, hanno il petto in fuori.
Le immagini sono state pubblicate dal giornale indipendente Zaman al Wasl, che le ha ottenute dal report sui crimini di guerra dell’intelligence siriana fatta dagli esperti della Corte penale internazionale sulla base delle foto scattate da “Caesar”, un soldato che lasciò l’esercito siriano nel 2014 e consegnò documenti in formato digitale a una ong, prima di scappare dalla Siria (ora vive con la sua famiglia in una località sconosciuta). L’anno scorso, il Foglio raccontò quelle torture di massa, pubblicando alcune foto che testimoniavano, come quelle di oggi, la ferocia del regime di Bashar el Assad nei confronti dei suoi prigionieri – e nei confronti di tutto il popolo siriano, che viene bombardato dagli aerei di Damasco da quattro anni, si è fermato soltanto nei giorni in cui Assad ha temuto che l’occidente iniziasse a rispondere, con le bombe, alle sue stragi.
[**Video_box_2**]Oggi il regime di Damasco collabora, di fatto, alla guerra contro lo Stato islamico in Siria e Iraq. Naturalmente non c’è un accordo formale – “Assad dovrebbe andarsene” è a tutt’oggi la linea ufficiale della Casa Bianca e dell’Europa – ma il dittatore siriano è stato abile nel rivendersi, con la complicità dei suoi partner strategici (il solito Iran, la solita Russia), come grande sostenitore della guerra contro i jihadisti. Così Assad si è per ora, forse per molto tempo, salvato il posto, da sempre la sua priorità.
Anche noi abbiamo una priorità ed è quella di “distruggere” lo Stato islamico. Ma i corpi morti, emaciati e brutalizzati, delle foto di Zaman al Wasl non devono passare inosservate, così come non dobbiamo dimenticare dove e come tutto è cominciato: Assad guida un regime mortifero che ha usato armi chimiche contro il suo popolo – basterebbe anche solo l’elenco delle armi non convenzionali, come le efferate “barrel bombs”. La Siria è la centrale del terrore moderno e all’origine del vuoto in cui si sono infilati i jihadisti, famelici di terre e potere, c’è la guerra di Assad contro il suo popolo.
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