Un semestre non banale
Il semestre europeo a guida italiana è stato uno dei più travagliati all’interno dell’area comunitaria per l’emergere di sintomi di deflazione e nello scenario internazionale di un inverno di guerriglie e di attentati a causa della crisi delle relazioni con la Russia e della degenerazione della primavera araba. La presidenza ha però allargato la gabbia di Bruxelles sul deficit.
Il semestre europeo a guida italiana è stato uno dei più travagliati all’interno dell’area comunitaria per l’emergere di sintomi di deflazione (di dimensione prima non prevista) e nello scenario internazionale di un inverno di guerriglie e di attentati a causa della crisi delle relazioni con la Russia e della degenerazione della primavera araba. In queste circostanze, non era facile individuare un tema su cui catalizzare il ruolo italiano. Matteo Renzi, facendo leva sull’autorevolezza del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, ha puntato sulla revisione della interpretazione del Fiscal compact, sinora concepita solo in termini di stabilità e non anche di crescita, come nella versione originaria, col risultato di generare una nuova specie di instabilità e di connessa fragilità, quella della deflazione. Occorre un contributo positivo alla politica fiscale per la crescita sia da parte dell’Ue sia degli stati membri, mediante politiche espansive di rilancio degli investimenti. Ciò comporta di esonerare, almeno in parte, gli investimenti dall’obbligo di copertura previsto dal Fiscal compact.
[**Video_box_2**]La Germania s’è tenacemente opposta a ciò, nel timore che questo induca a un rilassamento nella politica di riforme strutturali e probabilmente anche per congenita diffidenza. La partita è stata giocata dal duo Renzi-Padoan, con pazienza, sull’output gap, ovvero la capacità produttiva inutilizzata, che serve per il calcolo del pareggio tendenziale, secondo il Patto di stabilità. Il risultato è arrivato ieri: la Commissione ha concesso a Italia (e Francia) margini di manovra temporanei meno stringenti riducendo la correzione richiesta ogni anno nel rapporto deficit/pil dallo 0,5 per cento annuo allo 0,25; buon viatico per la legge di stabilità che la Commissione dovrà approvare entro marzo. L’Italia ha sostenuto che l’attuazione di riforme, come sulla flessibilità del mercato del lavoro, ampliano la capacità produttiva inutilizzata generando crescita e quindi un deficit compatibile col pareggio tendenziale. Le riforme, in una corretta interpretazione del Patto di stabilità, debbono consentire il ricalcolo del deficit, man mano che sono attuate, perché ampliano l’output gap utilizzabile per politiche di rilancio degli investimenti. Ora, al termine del semestre europeo, questo criterio viene recepito come appena descritto. C’è un’inversione di marcia. Ma ora occorre che si facciano altri passi avanti.
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