Romanzieri quirinali

Redazione

Se fare il giornalista è sempre meglio che lavorare, fare il quirinalista è meglio che fare il giornalista. Massimo rispetto per i colleghi in questione, per lo più bravi e autorevoli e inappuntabili. Ma è proprio nella loro equazione professionale che risiede – et pour cause – l’aspetto vagamente letargico di un mestiere desueto.

Se fare il giornalista è sempre meglio che lavorare, fare il quirinalista è meglio che fare il giornalista. Massimo rispetto per i colleghi in questione, per lo più bravi e autorevoli e inappuntabili. Ma è proprio nella loro equazione professionale che risiede – et pour cause – l’aspetto vagamente letargico di un mestiere desueto.

 

Sta bene, come ha fatto ieri Marcello Sorgi sulla Stampa nel suo brillante corsivo (“Un metodo che va cambiato”), mettere sotto il cono di luce la necessità di modificare la liturgia stanca, mercantile e paramassonica con la quale il Palazzo e le sue dépendances usano eleggere al soglio Quirinalizio il nuovo capo dello stato. Ma per lo stesso principio, per la stessa esigenza di svecchiamento procedurale e di nitore comunicativo, sarebbe giunto il momento di riconsiderare il profilo degli aedi ufficiosi stanziati negli interstizi dell’alto Colle romano: figure a metà tra il notista politico e la tappezzeria damascata, con in sovrappiù una specie di salvacondotto garantito dal carattere agiografico e bigio dei resoconti distillati sulla stampa.

 

Alimentato da uno spin primonovecento, il quirinalista, di regola, non insinua né almanacca mai: decritta e solennizza lo stile rigidamente paludato del capo dello stato, le sue movenze, i silenzi perfino. L’effetto palombaro, ma di rango sia chiaro, è inevitabile e consustanziale; il sonoro, quando c’è, arieggia lo stile di antichi generi dell’oratoria, quasi una consolatio, ed evoca i fotogrammi in bianco e nero di un teleschermo orientato dall’antenna metallica. Nulla di sconveniente, figurarsi, epperò, già che ci siamo, faremmo bene a interrogarci sulla residuale urgenza di un istituto paragonabile a un fossile vivente.

 

[**Video_box_2**]Bisogna però ammettere che almeno ogni sette anni, nove “nelle circostanze presenti” (cit. dal quirinalese), nel mondo del giornalista collettivo diventa lancinante la necessità di un veterano radicato sul Colle, con le sue buone fonti e la sua vecchia cassetta degli attrezzi quirinalistici. E insomma, all’occorrenza, quando cioè si tratta di salire sulla grande giostra del toto-nomi (o del toto-toto), nella frenesia del pettegolezzo e del depistaggio, vuoi o non vuoi diventiamo tutti quirinalisti di complemento e ci sentiamo parte essenziale di un anacronistico, rinunciabilissimo privilegio.

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