Cartiere pubbliche Ilva
L’acciaieria di Taranto va in sonno… su un letto di burocrazia. Parafrasando Milton Friedman potremmo dire che “se lo stato governasse un’acciaieria, dopo qualche anno non avremmo più acciaio”. E’ realistico.
Parafrasando Milton Friedman potremmo dire che “se lo stato governasse un’acciaieria, dopo qualche anno non avremmo più acciaio”. E’ realistico. L’Ilva di Taranto, dopo due anni e otto mesi di curatele statali – commissariamento straordinario – produce meno della metà del potenziale massimo. A dicembre sono finiti i soldi in cassa. I fornitori non si fidano a vendere la materia prima senza certezza dei pagamenti. Il minerale di ferro dovrà essere razionato. Così gli altiforni lavorano a basso regime (prespegnimento) e da venerdì scorso i laminatori sono fermi. L’Ilva va dunque in letargo. E intanto cerca un nome che rispecchi l’attività produttiva principale.
Proponiamo: Ilva cartiere pubbliche. Sembra davvero più appropriato che definirla acciaieria, visto che è la burocrazia, e null’altro, a regnare sovrana. Dal sequestro monstre del luglio 2012 si sono infatti susseguiti sette provvedimenti. Il primo decreto (governo Monti) è stato l’unico efficace – ha tolto i sigilli all’azienda – gli altri (dl 4 giugno 2013, dl 31 agosto 2013, dl 10 dicembre 2013, dl 24 giugno 2014) hanno creato una sovrastruttura pachidermica e ridondante. C’è un piano ambientale con cronoprogramma (Dpcm del 14 marzo 2014) rispetto al quale il governo stesso è gravemente inadempiente. L’ultimo decreto legge (5 gennaio 2015) imposta uno schema da rivedere e propone il passaggio a un ente pubblico (?) previa amministrazione straordinaria, ovvero fallimento pilotato. Le aziende dell’indotto perderanno gran parte dei crediti pregressi (le banche non tutti). Poi consulenze e altre carte.
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