Il colpaccio del Fn
Marine Le Pen difende la libertà sul New York Times
Chiamate le cose con il loro nome: il fondamentalismo islamico ci attacca. La Francia ha commesso tre errori, le misure per reagire sono chiare. L’appello alla libertà.
Milano. Marine Le Pen, leader del Front national francese, ha firmato un editoriale sul New York Times domenica, in cui spiega, con tono perentorio e altrettanto preciso, quel che è accaduto a Parigi dal 7 gennaio in poi, e quel che accadrà se non si iniziano a chiamare le cose con il proprio nome. La Le Pen, esclusa dalla marcia di Parigi (venite tutti, venite in tanti, ma il Front national come partito non può essere rappresentato, non è nemmeno un partito repubblicano: questa la motivazione da parte dei socialisti organizzatori della grande manifestazione dell’11 gennaio per l’esclusione della Le Pen), inizia il suo articolo con una citazione attribuita ad Albert Camus: “Mal nommer les choses, c’est ajouter au malheur du monde”. Se non usiamo i termini giusti, il mondo non sarà migliore, ma il governo francese, specialmente il ministro degli Esteri Laurent Fabius, s’ostina riluttante a “non pronunciare il vero nome delle cose”: “Fabius non definirà ‘islamisti’ i terroristi che il 7 gennaio sono entrati nella redazione di Charlie Hebdo, nel cuore di Parigi. Né userà il termine ‘Stato islamico’ per descrivere il gruppo radicale sunnita che ora controlla il territorio in Siria e Iraq. Non può essere fatto alcun riferimento al ‘fondamentalismo islamico’ per paura che l’islam e l’islamismo si possano fondere. Sono da preferire termini come ‘Daesh’ o ‘tagliagole del Daesh’, anche se in arabo ‘Daesh’ significa proprio quel che si vuole nascondere: ‘Stato islamico’”. In realtà la scelta del governo francese di riferirsi al gruppo guidato da Abu Bakr al Baghdadi soltanto con il termine “Daesh” irrita parecchio lo Stato islamico: è un termine peggiorativo, che usano gli oppositori locali perché suona in modo simile, in arabo, al verbo “schiacciare, rompere sotto i piedi”. Non è un favore, insomma, che si fa al jihad dello Stato islamico (nota: anche il nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, usa sempre questo termine), ma la Le Pen lo usa per dire: si crea confusione, non chiamando le cose con il loro nome più riconoscibile. E cosa bisogna dire, allora? “La Francia – scrive la leader del Front – terra dei diritti umani e della libertà, è stata attaccata sul suo suolo da un’ideologia totalitaria: il fondamentalismo islamico. Soltanto evitando di non ammettere la realtà, guardando il nemico negli occhi, si può evitare che si fondano le questioni. Gli stessi musulmani hanno bisogno di sentire questo messaggio. Hanno bisogno che sia fatta chiaramente la distinzione tra terrorismo islamista e la loro fede”.
Una volta che la minaccia è stata identificata correttamente, si può cominciare ad affrontarla, “cosa che non è ancora stata fatta”, continua la Le Pen. Anzi, sono stati fatti molti errori, “almeno tre”, e qui si va al cuore – politico, identitario, secondo il Fn – della questione. Primo errore: “Il dogma del libero movimento di persone e beni nell’Unione europea” insito nei leader del Vecchio continente, al punto che se lo metti in discussione sei considerato “eretico”: “Nessuna sorpresa poi nel sapere che le armi di Amedy Coulibaly siano passate attraverso il Belgio o che la sua compagna Hayat Boumeddiene sia volata in Siria sotto il naso delle autorità”. Secondo errore: “Le ondate massicce di immigrati, legali e clandestini, che la nostra nazione ha avuto per decenni hanno impedito l’implementazione di una politica di assimilazione adatta”.
[**Video_box_2**]Ma “senza una politica di restrizione dell’immigrazione – spiega la Le Pen – diventa difficile, se non impossibile” combattere chi non rispetta i valori francesi – e un “peso addizionale è costituito dalla disoccupazione di massa, che è essa stessa esacerbata dall’immigrazione”. Terzo errore: “La politica estera francese è oscillata in questi anni tra Scilla e Cariddi”, con Nicolas Sarkozy che ha fatto la guerra in Libia e l’attuale presidente, François Hollande, che in Siria si è alleato con i sostenitori dei fondamentalisti, l’Arabia Saudita e il Qatar (qui la Le Pen celebra Gerd Müller, il ministro tedesco per la Cooperazione e lo Sviluppo, che ha avuto la “lucidità, come il Front, di dire che il Qatar sostiene i jihadisti in Iraq”): così non c’è più coerenza.
Questi errori “non sono una fatalità”, scrive la Le Pen, e bisogna muoversi in fretta per rettificarli, certo non facendo come l’Ump o il Partito socialista, che hanno subito istituito una commissione per indagare sugli attacchi terroristici: “In questo modo non risolveremo nulla, ‘se vuoi sotterrare un problema, fai una commissione’, come ha detto una volta Georges Clemenceau”. Per il momento, una misura di emergenza può subito essere messa in atto: “Togliere ai jihadisti la cittadinanza francese è una necessità assoluta. Nel lungo periodo, ancora più importante è reintrodurre il controllo dei confini nazionali, e ci deve essere tolleranza zero per ogni comportamento che svilisce la laïcité e la legge francese”. Senza queste mosse necessarie, il fondamentalismo islamista non si può combattere. E mentre la Francia studia la sua versione del Patriot Act (non con questo nome naturalmente) perché i governi europei stanno infine comprendendo che per avere sicurezza alla propria privacy un po’ si deve rinunciare, la Le Pen conclude così il suo intervento sul New York Times: “La Francia ha appena vissuto 12 giorni che non dimenticherà mai. Dopo essersi fermata per seppellire i suoi morti, si è alzata per difendere i suoi diritti. Ora i francesi, anche come singole persone, devono fare pressione sui loro leader perché questi giorni di gennaio non siano passati invano. Dalla tragedia della Francia deve fiorire la speranza per un cambiamento vero. La logica meschina dei partiti politici non può rubare ai francesi le loro aspettative legittime su sicurezza e libertà. Noi francesi siamo attaccati in modo viscerale alla nostra laïcité, alla nostra sovranità, alla nostra indipendenza, ai nostri valori”. Se l’articolo inizia con la volontà di chiamare le cose con il loro nome, la Le Pen conclude con il manifesto della sua Francia: “Il nome del nostro paese ancora risuona come un appello a essere liberi”.
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