La guerra di Mosca contro “Leviathan”, il “manifesto antirusso”
La pellicola, prodotta con i soldi pubblici, non è ancora uscita in Russia, dovrebbe farlo il 5 febbraio. Il regista Zvyagintsev è accusato di aver offeso la chiesa e i valori patriottici. L’idea di lanciare una “Hollywood ortodossa” e i “prodotti confezionati apposta per l’occidente”.
Mosca. Il film “Leviathan”, del regista Andrei Zvyagintsev, prima pellicola nella storia della Russia non sovietica a vincere un Golden Globe, rastrella tanti premi all’estero quante critiche e minacce in patria. La storia di ordinarie ingiustizie in una cittadina della provincia annegata da vodka e disperazione è stata accolta da una parte dell’opinione pubblica come un capolavoro e dall’altra come “un manifesto anti russo confezionato per l’occidente”. C’è chi vuole mettere pellicola e attori all’indice e obbligare Zvyagintsev a restituire i fondi pubblici con cui ha realizzato il film. Qualcuno ha già detto che ne impedirà l’uscita nelle sale. Già, perché il caos è scoppiato prima ancora che “Leviathan” fosse proiettato anche solo in un cinema.
L’uscita in Russia – dove la legge contro il turpiloquio ha imposto tagli sostanziosi ai dialoghi – è prevista per il 5 febbraio. Ma da circa due settimane, poco prima che la pellicola entrasse nella short-list dei film stranieri candidati agli Oscar, in rete si è scatenata la caccia al link migliore per vederlo in streaming e a Mosca ci si ritrova a casa di amici per proiezioni private e discussioni. Il giornale d’opposizione New Times è convinto che a far circolare online la versione in lingua originale, con sottotitoli in inglese, siano stati i servizi segreti al fine di rovinare la qualità della visione (la maestria del regista e i maestosi paesaggi della penisola di Kola, sul mare di Barents, non rendono sul piccolo schermo) e per dare il via a una campagna di screditamento del film, prima che arrivasse al grande pubblico. Pure uno dei massimi esponenti della chiesa ortodossa russa, l’arciprete Vsevolod Chaplin, a capo del dipartimento del Patriarcato di Mosca per i rapporti con la società, ha ammesso di aver visto il film in versione pirata.
A quanto pare non si poteva aspettare. La chiesa doveva esprimersi subito, chiamata direttamente in causa dall’opera di Zvyagintsev, in cui un sindaco trasudante lipidi e arroganza si muove in combutta con un vescovo che ha come motto “tutto il potere viene da Dio”. Lo stesso Chaplin ha tenuto subito a sottolineare che “l’interazione tra stato e chiesa non solo è normale, ma assolutamente giusta”. In pochi giorni, “Leviathan” ha polarizzato l’opinione pubblica come di recente erano riusciti a fare solo la crisi Ucraina o il crollo del rublo. Il dibattito, però, sembra più simile alla bufera sollevata dal caso Pussy Riot e dalla loro performance nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, nel 2012, che costò il carcere a tre membri dell’ormai celebre gruppo punk-femminista. Il Patriarca Kirill usò parole dure di condanna; la vicenda portò al varo della cosiddetta “legge anti blasfemia” con cui Mosca ha aumentato pene e ammende per chi insulta i sentimenti dei fedeli. Tema quantomai grave in occidente, ma oggi in Russia torna invece attuale la riflessione sulla chiesa ortodossa e i suoi rapporti con lo stato e il suo ruolo nella società. Un tema che rimane irrisolto della Russia contemporanea, dove la rinascita spirituale e il rilancio dei “valori tradizionali”, come perno della politica di Vladimir Putin non trovano riscontro nella vita quotidiana dei russi, ancora divisi tra l’ateismo di marca sovietica e quello dei sogni capitalisti.
L’associazione degli esperti ortodossi ha fatto appello al ministro della Cultura, Vladimir Medinsky (tra i più critici del film), per vietare la proiezione di “Leviathan”, proponendogli di fondare una “Hollywood ortodossa”. Fino alla settimana scorsa, sembrava addirittura che il governo stesse per legiferare sul divieto di finanziare, con fondi pubblici, pellicole che promuovessero valori non patriottici. Idea poi ritirata. Accusato, invece, di aver offeso la chiesa con la sua interpretazione del vescovo ortodosso, in molti ora chiedono il licenziamento dell’attore Valery Grishko dall’Accademia statale di arte drammatica di Samara e su di lui si sono concentrati gli strali dei detrattori del film.
Le correnti dentro al clero
Vincitore per la migliore sceneggiatura all’ultimo Festival di Cannes, anche dopo il Golden Globe Zvyagintsev non ha mai ricevuto congratulazioni da parte di rappresentanti dello stato. Eppure il film è stato girato con fondi pubblici, stanziati due anni fa, certo in tempi non sospetti. Il regista ha invitato a vedere nella tragedia del meccanico Nikolai – che combatte fino all’autodistruzione per difendere la sua proprietà dalle mire dell’insaziabile sindaco locale – non il ritratto specifico della vita nella provincia russa, ma la storia generale dell’uomo comune, che si scontra con il sistema, di cui il Leviatano è metafora. Non si tratta del Leviatano di Hobbes, che teorizzava la necessaria unione di potere spirituale e temporale, ma di quello del Libro di Giobbe, simile a una balena, che simboleggia il potere incommensurabile di Dio.
[**Video_box_2**]Non a caso il dibattito più interessante è quello all’interno della chiesa, dove le voci dell’establishment non coprono quelle di chi cerca di trarvi un insegnamento. “Zvyagintsev ha girato un film per compiacere le idee occidentali sulla Russia: vodka, abitudini sessuali sregolate, uno stato e una chiesa terribili”, ha tuonato Chaplin. “In Russia ormai chiamiamo russofobia la verità”, ha replicato Ayder Muzhdabaev, vicedirettore del quotidiano Moskovsky Komsomolets, invitando gli europei a vedere “Leviathan” “per capire veramente la Russia di oggi”. Il diacono Andrei Kuraev, considerato dell’ala liberale del clero ortodosso, ha posto la critica sociale di Zvyagintsev nel solco dei grandi classici russi, invitando il regista a vedere in positivo le accuse di anti patriottismo: “Hanno fatto lo stesso anche con Pushkin e Dostoevskij”. Ha parlato, invece, di “film profezia” padre Aleksandr Shramko, sul sito d’informazione religiosa Pravmir. “Leviathan”, a suo dire, racconta la “delusione” dei russi verso chiesa e istituzioni, seguita alla loro ricerca di Dio, dopo l’ateismo di stato. “E’ un segnale allarmante, ma può anche essere utile se noi per primi saremo in grado di capirlo”, ha aggiunto, avvertendo che “se non si cambia, i balletti sugli altari (vedi Pussy Riot) sembreranno solo uno scherzo innocente”.
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