Scelte popolari sulle Popolari
Le attese resistenze a una sacrosanta riforma del settore del credito
La riforma delle banche popolari, voluta da Matteo Renzi per decreto, merita un consenso più ampio degli applausi interessati della Borsa. I motivi stanno proprio nelle proteste di un arco che va da Susanna Camusso a Matteo Salvini, dal centrodestra alla sinistra Pd: si invoca il radicamento sul territorio che garantirebbe più credito a famiglie e piccole imprese, dimenticando che i prestiti scarseggiano proprio a livello locale, al sud come in Veneto. Ci si appella alla democrazia bancaria perché si abolisce per le 10 Popolari maggiori il voto per testa ai dipendenti, imponendo di trasformarsi in Spa con voto per quote di capitale: ma quel modello, che certo ha avuto i suoi meriti, è degenerato in commercio di deleghe, connivenze sindacali, assemblee nei palasport con migliaia di soci trasportati in pullman, immobilismo decisionale e poltrone a vita.
Questi ultimi furono anche i vizi di Mediobanca, dove il voto capitario garantiva i salotti buoni. L’argine non ha retto alla finanza globalizzata, ora che il crac anche di un piccolo istituto diviene contagioso per il sistema e le nuove regole del bail-in coinvolgono i clienti; mentre gli investimenti italiani e stranieri vitali per le ricapitalizzazioni sono frenati da metodi più arcaici di quelli delle assemblee condominiali. Quanto alle Popolari già oggi ben gestite, avranno vita migliore e nulla da temere.
P.s. La riforma prevede anche la portabilità gratuita e rapida dei conti correnti. Pure qui, era ora.
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