Dal Nazareno al Quirinale solo andata
Quanti voti ha e quanti ne mancano a Renzi, chi sta con chi e chi può tradire: appunti su un’elezione incerta e divertentissima. Lasciando da parte per ora il toto-nomi e i possibili scenari, partiamo dai dati certi: giovedì nell’Aula di Montecitorio si vota il nuovo presidente della Repubblica.
«L’impressione un po’ sorprendente è che a oggi il centrodestra abbia una strategia per il Quirinale, il Pd non ancora. Meglio: ce l’ha probabilmente Matteo Renzi, ma è circondato da un partito in ebollizione, che sembra incline a rendergli la vita impossibile» (Massimo Franco).
Massimo Franco, Corriere della Sera 23/1
Lasciando da parte per ora il toto-nomi e i possibili scenari, partiamo dai dati certi: giovedì nell’Aula di Montecitorio si vota il nuovo presidente della Repubblica. L’elezione è regolata dall’articolo 83 della Costituzione che prevede un’assemblea di grandi elettori formata dai deputati (630), senatori (315), senatori a vita (6) e delegati delle regioni (58). Per un totale, a questa tornata, di 1.009 votanti a scrutinio segreto, due in più rispetto all’assemblea che rinominò Giorgio Napolitano nell’aprile 2013.
Si vota con scrutinio segreto e a chiamata nominale: ogni elettore scrive il cognome di chi desidera votare in un biglietto e lo ripone in un’urna. Votano prima i senatori, poi i deputati e, per ultimi, i delegati regionali. Lo spoglio delle schede viene fatto dal presidente della Camera, che legge ad alta voce i nomi dei candidati.
Per eleggere il capo dello Stato nei primi tre scrutini è necessaria una maggioranza dei due terzi degli elettori, ovvero 672 voti. Dal quarto scrutinio basta la maggioranza assoluta che è di 505 voti. Con un Pd che tra deputati, senatori e rappresentanti delle regioni vanta 450 elettori, sulla carta ne basterebbero soltanto altri 55. E se si pensa che la maggioranza di governo da sola ha 589 voti, l’elezione dovrebbe essere senza sorprese. Purtroppo per Renzi, le cose non stanno proprio così.
Guardando i numeri ufficiali si può dire che dall’elezione di Napolitano del 2013 a oggi il Pd s’è allargato mentre l’opposizione si è ristretta. Il partito di Renzi ha conquistato 16 parlamentari in più, provenienti da Scelta civica e da Sel. Il Movimento 5 Stelle ne ha persi 26 (ora ne ha 137). Sel ne ha persi 10. Il Pdl che aveva 211 grandi elettori non esiste più, al suo posto c’è Forza Italia con 143 e Ncd che si è alleato con l’Udc in Area Popolare che ne ha 77. Ci sono infine il gruppo Misto (52), Grandi Autonomie e Libertà (15) e Per le autonomie (16).
Antonio Calitri, Il Messaggero 15/1
Renzi dovrebbe rendere noto il suo nome per il Colle solo mercoledì. L’unica volta in cui tracciò un identikit appena articolato sul candidato ideale Napolitano era ancora al Quirinale. «Serve una figura saggia e preparata», disse, «perché nei prossimi anni potrebbe essere chiamato ad affrontare situazioni difficili».
Francesco Verderami, Corriere della Sera 24/1
Questo dovrebbe essere il percorso: Renzi e Berlusconi hanno concordato di rivedersi domani per chiudere su un nome. E questa volta sarà un incontro ufficiale all’interno delle consultazioni di rito previste a partire da questa mattina con tutti i gruppi parlamentari. Mercoledì poi il premier renderà pubblico all’assemblea dei grandi elettori del Pd il suo candidato. A questo punto giovedì in Aula si procederà con le votazioni e il Pd darà ai suoi 450 grandi elettori l’indicazione di votare scheda bianca, un modo per controllare subito la disciplina dei parlamentari e dei delegati regionali (per mettere la scheda nell’urna senza scrivere il nome non occorre fermarsi). Modello Napolitano 2006, dunque.
Emilia Patta, Il Sole 24 Ore 21/1
Forza Italia invece dovrebbe dare indicazione di votare per tre volte un candidato di bandiera, Antonio Martino. Arriviamo così alla quarta votazione, quando capiremo se il premier ha fatto bene i conti. Emilia Patta: «Soprattutto dopo la forzatura sull’Italicum, sono in molti tra i renziani del giro stretto a pensare che parecchie decine di parlamentari del Pd, nel segreto dell’urna, sarebbero pronti a bocciare la qualunque pur di colpire Renzi e il patto del Nazareno financo se il candidato fosse Bersani».
Emilia Patta, Il Sole 24 Ore 21/1
Sulla carta la maggioranza del Nazareno, ovvero circa 750 grandi elettori, può sopportare fino a 180-190 franchi tiratori, un numero teoricamente sufficiente a eleggere il presidente della Repubblica già al primo scrutinio.
Mariolina Sesto, Il Sole 24 Ore 23/1
A sinistra la spaccatura è ormai nei fatti. La minoranza del Pd raccoglie posizioni molto diverse, come è apparso evidente dal documento pubblicato dal Foglio giovedì scorso con la lista dei fedeli, dei persi e degli incerti. Per contarsi, i parlamentari dissidenti si sono riuniti mercoledì scorso nella sala Berlinguer di Montecitorio e hanno scoperto di essere 140.
Marco Sarti, Linkiesta 22/1
Marco Sarti: «Cuperliani, Dalemiani, Bersaniani… Il ricorso alle vecchie correnti non aiuta a fare chiarezza. La galassia dei parlamentari del Pd che si oppongono al Patto del Nazareno è una realtà difficile da sintetizzare. Ci sono intransigenti come l’ex viceministro Stefano Fassina e dialoganti alla Roberto Speranza, capogruppo a Montecitorio. Moderati e inflessibili. Su 140 esponenti della minoranza, molti sono ancora indecisi».
Marco Sarti, Linkiesta 22/1
Nonostante la rottura con i fittiani (circa 40), Berlusconi si presenta al voto per il Quirinale in una posizione di forza inimmaginabile fino a pochi mesi fa. Stefano Folli: «Il capo di Forza Italia, più volte descritto come subordinato a Renzi, quasi soggiogato dal giovane fiorentino, questa volta gioca da protagonista e offre al suo semi-alleato un contributo decisivo. Lo fa scontando una rottura interna a Forza Italia parallela a quella del Pd, simile anche nei numeri. Ma lo spirito pragmatico di Berlusconi ha di sicuro percepito l’opportunità di cogliere un successo più rotondo. In primo luogo è di nuovo al centro del gioco politico e questo è già molto. Ma c’è di più, grazie anche all’alleanza tattica ricomposta con Alfano. Magari la possibilità di tagliare la strada del Quirinale a un esponente del Pd, quanto meno a una figura proveniente dalla tradizione ex comunista».
Stefano Folli, Rep 21/1
Cercando di non cadere nel buco nero del toto-nomi, possiamo dire che in queste due settimane sono stati indicati come favoriti Giuliano Amato e Sergio Mattarella. Francesco Verderami: «Nella lista di Berlusconi c’è (anche) il nome di Amato. Nella lista di Alfano – che è la stessa di Berlusconi – c’è (anche) il nome di Amato. Nella lista di Bersani c’è (anche) il nome di Amato. Napolitano spinge per Amato. D’Alema dice Amato. Ma Amato sta nella lista di Renzi? È questo il punto, perché in passato, con un candidato così sponsorizzato, la corsa al Colle sarebbe finita al primo giro. Invece il premier sta trasformando la corsa al Colle in un thriller».
Francesco Verderami, Corriere della Sera 24/1
Chi è invece il candidato della minoranza Pd? «Se qualcuno prova a chiedere a Fassina, a Civati, alla Bindi o a Vendola un candidato per il Quirinale rispondono che nomi non ne fanno. Non serve (tanto non hanno i voti). L’importante è che non sia un “nazareno”. Il no arriva prima, a prescindere. Non sanno chi sarà il “nazareno”, magari è l’uomo o la donna dei loro sogni, ma il solo fatto che passi da un patto Renzi-Berlusconi è un nome maledetto».
Vittorio Macioce, il Giornale 24/1
Racconta Fabio Martini che «nel Transatlantico di Montecitorio, tradizionale crocevia di chiacchiere e di trame, da qualche giorno proliferano i capannelli “monoteistici”, quelli nei quali si ritrovano i deputati “fedeli” a un unico candidato Presidente ed è proprio da questi crocchi che talora partono tam-tam avvelenati contro i concorrenti. L’espressione più usata è: “Sì, ma...”. Padoan? “Sì, ma il decreto fiscale...”. Veltroni? “Sì, ma Odevaine...”. Mattarella? “Sì, ma all’estero chi lo conosce?”. Un brodo di coltura nel quale cuociono malignità di ogni tipo, lasciate correre al solo scopo di screditare, con l’idea che qualcosa resterà. Roba che ogni tanto finisce, con grande rilievo, sui giornali».
Fabio Martini, La Stampa 21/1
Ma la vera novità che potrebbe arrivare da questa elezione è il passaggio all’opposizione del governo di Bersani & Co più Fitto & Co. Antonio Polito: «Ne uscirebbe definitivamente sancito un tale rimescolamento tra sinistra e destra che perfino Giorgio Gaber non sarebbe più in grado di riconoscerle. Potrebbe diventare l’apoteosi di Renzi, l’homo novus che libera la sinistra dai suoi rompiscatole. Ma potrebbe anche essere un cambio di pelle costoso per il giovane leader. Perché una cosa è appoggiarsi a Berlusconi, un’altra è mettersi nelle sue mani».
Antonio Polito, Cds 22/1
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