Il vuoto dell'Hotel Corinthia
Lo Stato islamico assalta l’ultimo scampolo di normalità a Tripoli
Un commando di quattro o cinque uomini ha preso d’assalto ieri l’Hotel Corinthia a Tripoli: è entrato nella lobby dell’hotel, ha continuato a sparare, uccidendo almeno cinque persone, poi due di loro sono saliti sul tetto e si sono fatti esplodere. Nel frattempo, fuori dall’albergo, è scoppiata un’auto, mentre un gruppo di uomini vestiti di nero, “la polizia” fedele al governo di Tripoli, ha circondato l’edificio e messo fine all’attacco. L’Hotel Corinthia è un albergo di lusso, frequentato da turisti e imprenditori stranieri (molti italiani anche), residenza del primo ministro Omar al Hassi e sede degli uffici di parecchie ambasciate, ormai quasi tutte vuote: le delegazioni se ne sono andate, anche ieri dicono i testimoni c’era poca gente. L’operazione è stata rivendicata dal Wilayiat di Tripoli, uno dei tre gruppi combattenti che hanno giurato fedeltà allo Stato islamico, come “rappresaglia” per la cattura, l’anno scorso, da parte della Delta Force americana del leader jihadista Nazih Abdul Hamed al Ruqai, meglio conosciuto come Abu Anas al Libi, l’ideatore degli attentati alle ambasciate americane in Tanzania e Kenya del 1998, incaricato da al Qaida di creare una filiale in Libia. Al Libi è morto, cinquantenne, un mese fa in un ospedale newyorchese dopo un’operazione al fegato: aspettava, lui che è considerato “un eroe del califfato” di essere processato.
Il vuoto dell’Hotel Corinthia è lo specchio della Libia, della sua guerra tra le milizie legate all’ex regime e gli islamisti da cui tutti scappano, e di un occidente che nulla riesce a fare: con questo attentato muore ogni illusione di evitare lo sbarco del Califfato in Libia.
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