Il segno “più” non è un tana libera tutti
Il calo della disoccupazione di dicembre, comunicato ieri dall’Istat, si aggiunge ai segnali positivi che fanno prevedere alla Confindustria e alla Banca d’Italia una ripresa “superiore alle attese”. Come respingere la spinta anti riformatrice in agguato sull’economia.
Il calo della disoccupazione di dicembre, comunicato ieri dall’Istat, si aggiunge ai segnali positivi che fanno prevedere alla Confindustria e alla Banca d’Italia una ripresa “superiore alle attese”. Ma che fanno pure riaffiorare tentazioni al liberi tutti non tanto sul rigore miope, ma sulle riforme strutturali avviate dal governo, il cui simbolo è il Jobs Act. Appena il segno più ricomparirà di fronte al pil, molti – da Susanna Camusso alla sinistra stile Tsipras (e non solo loro) – parleranno di tesoretti da redistribuire nella logica consociativa felicemente rottamata. C’è addirittura chi nella vicenda Quirinale annusa “il vento della Grecia che tornerà a soffiare sul quadro sociale” (Nichi Vendola).
Se il sottinteso è sperperare i risparmi del calo dei tassi, dell’energia e della svalutazione dell’euro – tutti straordinari fattori esterni – sul tavolo di una contrattazione che invece deve restare aziendale e di una spesa pubblica che non sia vero investimento, alla larga. Al contrario le risorse dovranno finanziare la riforma meritocratica della Pubblica amministrazione, compreso il licenziamento dei lavativi, la sostituzione della cassa integrazione con il sussidio di disoccupazione per completare la riforma del lavoro, un ulteriore calo delle tasse su imprese e lavoratori autonomi. Nonché evitare quell’aumento dell’Iva rimasto come clausola di salvaguardia europea, destinando invece a riduzione del debito il gettito figlio delle auspicabili privatizzazioni. Passato il momento, l’Italia potrà correre sulle proprie gambe, oppure rimettersi al rimorchio.
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