Lezioni americane

Redazione

La flessibilità fa volare gli Stati Uniti, l’Europa prenda appunti. “Dal 2010 l’America ha creato più posti di lavoro di Europa, Giappone e di tutte le economie avanzate messe insieme”. Ma è una “Relatively Beautiful”, la sua crescita appare più muscolare sullo sfondo della paralisi europea e della frenata cinese.

Businessweek ha messo in copertina un’aquila su una rombante Harley Davidson a stelle e strisce, tanto per chiarire il concetto anche ai più distratti. L’articolo di Peter Coy è venato della sobrietà e del senso del discernimento che si convengono all’analista economico, ma la sostanza non cambia: l’America è tornata, sfreccia sulla strada della crescita, le sabbie mobili della depressione sono alle spalle e Barack Obama non ciurla nel manico quando insiste sulla linea narrativa del “comeback”: “Dal 2010 l’America ha creato più posti di lavoro di Europa, Giappone e di tutte le economie avanzate messe insieme”. I numeri parlano chiaro: nel 2014 gli Stati Uniti hanno creato 250 mila posti di lavoro al mese, il tasso di disoccupazione è a livelli pre-crisi, la Fed ha interrotto gli interventi straordinari per sostenere l’economia e sul tavolo della Banca centrale il prossimo punto è l’innalzamento dei tassi.

 

Otto fra le prime compagnie del mondo sono americane, il settore tecnologico sta vivendo un’età dell’oro, la rivoluzione dello shale ha mandato in pensione l’Opec, e tutto questo rombare di Harley Davidson è possibile innanzitutto perché “il criticato governo americano ha avuto ragione sulle misure strutturali”. I bail-out di Paulson e Geithner hanno funzionato, il Quantitative easing di Bernanke ha funzionato, lo stimolo per salvare le auto di Detroit ha funzionato; non è stato tutto perfetto, naturalmente, ma nel complesso il sistema ha funzionato, come scrive il politologo Daniel Drezner in un libro prezioso per capire che non solo un buon protocollo d’emergenza, ma la volontà politica e la capacità di adattamento hanno portato l’America fuori dalla palude.

 

[**Video_box_2**]Coy non si fa illusioni: l’America è solo “Relatively Beautiful”, la sua crescita appare più muscolare sullo sfondo della paralisi europea e della frenata cinese e “queste non sono le olimpiadi”, non basta essere il migliore fra gli scarsi per aggiudicarsi una medaglia. L’America ha un problema con la contrazione della forza lavoro (che rende il 5,6 per cento di disoccupazione un dato da prendere cum grano salis) deve affrontare il problema sociale della middle class impoverita (“i ricchi se la passano bene perché hanno fette più grandi di una torta che non è cresciuta”) e per crescere ha assolutamente bisogno che le altre economie tornino a galoppare a loro volta. Ma il confronto con l’Europa dell’austerità tedesca, della ribellione greca e del Quantitative easing messo in piedi da Francoforte quando ormai a Washington si parla dei termini per tornare alla normalità è impietoso. Non ci sono medaglie, d’accordo, ma una qualche classifica bisognerà pur farla, se non altro per capire quali sono i modelli da imitare e quali da dimenticare. A Davos l’ex segretario del Tesoro Larry Summers – che ha avuto un ruolo fondamentale nell’epopea del bail-out, al principio dell’èra Obama – ha detto che la lezione americana per il resto del mondo è che i problemi seri dell’economia “non vengono mai risolti senza una vera e significativa discontinuità a livello di policy”. Le crisi non si risolvono “facendo un passo consensuale dopo l’altro. E qui sto parlando dell’Europa”. Flessibilità, voglia di sperimentare e imparare dagli errori: questi, scrive Businessweek, sono i segreti della resurrezione dell’America , il paese in cui, dice il ceo della compagnia indiana Infosys, la gente è “insoddisfatta delle cose come sono”. Hanno voglia di “inventare e reinventare” che si tratti di lanciare uno smartwatch o risolvere una crisi economica.

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