Dov'è finito il libero scambio?
Il dannoso ritardo nelle trattative di libero scambio con l’America
Che fine ha fatto il Ttip (Transatlantic trade and investment partnership), il trattato di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti, in corso di negoziato dal 2013? La domanda non è peregrina ora che le sanzioni, la crisi della Russia e da ultimo l’embargo del Cremlino sui beni strumentali provocano gravi danni all’export europeo, in particolare di Germania e Italia, minandone la ripresa. Al contrario l’economia americana continua a risalire così come quella dei mercati complementari del Canada e del centro America, ai quali è prevista l’estensione del trattato. Salutata all’inizio come un’occasione unica per creare la più grande area commerciale mondiale, pari a metà del pil del pianeta, il Ttip era stato incluso tra le priorità del semestre europeo a guida Renzi, finché è stato bloccato dalla Germania per motivi che poco hanno a che fare con la libertà economica.
Prima lo spionaggio americano a danno di Angela Merkel, poi le resistenze degli ecologisti anti organismi geneticamente modificati, dei sindacati che temono il contagio della flessibilità americana del lavoro, quindi la rivolta delle varie burocrazie contro l’idea di affidare a un arbitrato internazionale (Isds, Investor-state dispute settlement) le dispute tra governi e imprese. La solita Europa chiusa in se stessa, complementare alla crescente tentazione merkeliana di una Germania guglielmina che guardi a est. Ma, come dimostrano agli opposti la voglia di fuga della ricca Gran Bretagna e della disastrata Grecia, i mercati non si imbrigliano né il mondo si ferma davanti alle regole e ai decimali di un’Europa che finora ha dimostrato grande abilità a farsi del male.
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