Il fallimento della Nigeria
Il comunicato ufficiale del governo nigeriano, emesso sabato, sembra quasi una minaccia mafiosa: le elezioni del 14 febbraio sono rimandate perché “la sicurezza delle operazioni non può essere garantita”. Che risposte servono.
Il comunicato ufficiale del governo nigeriano, emesso sabato, sembra quasi una minaccia mafiosa: le elezioni del 14 febbraio sono rimandate perché “la sicurezza delle operazioni non può essere garantita”. Se ne riparla come minimo a fine marzo, forse più avanti, perché l’esercito e lo stato maggiore si sono rifiutati di garantire un presidio ai seggi elettorali, e sembrerebbe quasi un ammutinamento dei militari contro il governo, se solo non fosse che al governo il presidente Goodluck Jonathan si frega le mani. E’ in crisi nei sondaggi, e non cercava migliore scusa della spaventosa tragedia militare nel nord-est del paese, dove i miliziani islamisti di Boko Haram stanno costruendo un nuovo Califfato islamico, per bloccare un’elezione che rischiava di perdere. Il suo principale avversario si chiama Muhammadu Buhari, è un musulmano e un ex militare che è scampato a un attentato mortale di Boko Haram.
La Nigeria, prima economia d’Africa, potenza petrolifera di livello mondiale, è un luogo dove una porzione dello stato è presa ostaggio da un gruppo terroristico, e dove il potere centrale non ha né la volontà né la forza di garantire libere elezioni ai suoi cittadini. E’ uno stato fallito, ha detto Buhari, ed è difficile dargli torto. Il segretario di stato americano John Kerry è stato molto duro all’annuncio del rinvio dell’elezione, ma la verità, dice il sito Defense One, è che gli Stati Uniti (e tutto l’occidente) hanno poca influenza sulla Nigeria. Ormai, ha detto il capo del comando africano dell’esercito americano, David Rodriguez, per battere Boko Haram servirebbe un’operazione multinazionale di larga scala come quella in Afghanistan. Quasi impossibile, ma servono risposte vere.
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