Perché i rivoltosi di Londra erano criminali, e non paladini del welfare
Il giornalista collettivo non aiuta nell’opera di ricerca delle radici socio-economiche di fenomeni quotidiani di per sé complessi. La crisi economica più grave che si vedesse da decenni ha perfino aggravato il fenomeno.
Il giornalista collettivo non aiuta nell’opera di ricerca delle radici socio-economiche di fenomeni quotidiani di per sé complessi. La crisi economica più grave che si vedesse da decenni ha perfino aggravato il fenomeno. Tutto si spiega, secondo certi riflessi pavloviani, addossando la colpa al liberismo, all’austerity fiscale e via dicendo. Fu il caso delle rivolte di Londra (“riots” per gli esterofili) dell’agosto 2011 subito collegate dalla stampa italiana alle minacce di tagli al welfare del governo Cameron. Da lì alla demonizzazione dell’austerity il passo fu breve. Da subito si capiva invece che non si trattava di rappresaglie verso Downing street ma dell’emersione eruttiva della delinquenza a carattere predatorio accovacciata nei sobborghi inglesi: saccheggi e vandalismi a favore di telecamere per diversi giorni. Motivo scantenante: le circostanze della morte di Mark Duggan, gangester di periferia, ucciso della polizia nel quartiere di Tottenham, nord di Londra.
La violenza s’era diffusa per emulazione a Birmingham, Bristol e Manchester. A quattro anni di distanza, la risma dei “rioters” emerge nitida dal resoconto della polizia metropolitana di Londra sul tasso di recidiva. Delle 3.914 persone allora incriminate, uscite su cauzione o rilasciate dopo i fatti, 1.593 sono tornate a commettere reati. Il conto arriva alla fine dell’anno scorso. 1.172 hanno commesso violenza contro altre persone (12 omicidi, 54 violenze sessuali, 180 attacchi con feriti), 2.000 hanno rubato. Hanno diversificato il business, si direbbe. Più di 100 criminali hanno commesso 10 o più nuovi reati, altri 216 dai 5 ai 10 nuovi atti illegali. Non prendetevela con l’austerità. Don’t blame austerity.
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