Quanto è discriminante la lapidazione. Ma che c'entra l'Austria?
A tutto avrebbe pensato il cancelliere socialdemocratico d’Austria, Werner Faymann, meno che finire nel tritacarne mediatico e politico a causa di una brochure sulla violenza. Il folle opuscolo della ministra delle Donne.
Roma. A tutto avrebbe pensato il cancelliere socialdemocratico d’Austria, Werner Faymann, meno che finire nel tritacarne mediatico e politico a causa di una brochure sulla violenza. La colpa è del ministero dell’Istruzione e delle donne (a Vienna si chiama così) che ha prodotto un volantino in cui si denuncia quanto grave sia, ancora oggi, la disparità tra uomo e donna. Solo che l’esempio portato a conforto della tesi è quanto di più originale potesse leggersi: “L’attuazione della lapidazione comporta chiaramente svantaggi per le donne, visto che mentre gli uomini sono sepolti fino alla vita, le donne lo sono fino alle spalle”. Questo – prosegue la dotta spiegazione – “è importante perché nel caso il condannato riuscisse a liberarsi, potrebbe essergli concessa la grazia”. E’ quindi molto più probabile che ciò avvenga quando a essere sepolti in attesa del supplizio siano persone di sesso maschile. Anche se, precisa il documento, su questo argomento “è difficile trovare riscontri scientifici”. A finire nel mirino è stato il ministro competente, la signora Gabriele Heinisch-Hosek, che rifiuta di commentare e affida alla portavoce tutta la sua rabbia: “Quelle frasi sono estrapolate da un contesto molto più ampio. Dalla brochure, realizzata proprio per la difesa delle donne, risulta evidente che la violenza deve essere respinta sotto qualsiasi forma”. Ma le righe sulla lapidazione sono lì, stampate e messe in bell’evidenza nell’opuscolo. Ironizza il Kronen Zeitung, quotidiano più venduto nel paese: “Le assurdità sul gender, come il trattamento neutrale di donne e uomini, apparentemente non conoscono limiti”. Nel volantino nessun accenno al fatto che la pratica “discriminatoria” viene attuata negli stati islamici. Il segretario del Partito della libertà austriaco – forazione della destra nazionalista – Herbert Kickl, ha presentato un’interrogazione parlamentare in cui si chiede al ministro se quelle frasi stiano a indicare che “le donne dovrebbero essere sepolte solo fino all’anca, in modo da determinare una effettiva uguaglianza con gli uomini”.
L’incidente si somma a quello di qualche settimana fa che ha coinvolto il Centro di dialogo interreligioso sponsorizzato dalla famiglia reale saudita e intitolato al defunto Abdullah, scomparso a fine gennaio ultranovantenne. Il cancelliere Faymann s’era detto sconcertato dal rifiuto espresso dal centro per il dialogo – aperto nel 2012 e benedetto dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e dal cardinale Jean-Louis Tauran – di biasimare la decisione del tribunale di Gedda che ha condannato il blogger Raif Badawi a dieci anni di carcere, mille frustate e 193 mila euro di multa. Il tutto perché “ha offeso l’islam” e ha “creato un blog liberale”. Decisiva, per la condanna, era stata la contestazione di alcune sentenze troppo ispirate alla sharia. Faymann, dopo aver sollecitato una presa di posizione forte da parte dei referenti dell’organismo, aveva sottolineato come “non sia possibile avere in Austria un centro che si ripromette di favorire il dialogo interreligioso quando, nello stesso tempo, chi è impegnato in quello stesso dialogo è in prigione e teme per la sua vita. Un centro che rimane in silenzio quando si deve gridare in favore dei diritti umani non è degno di essere definito centro di dialogo. E’ un centro del silenzio”. A novembre, dalle stanze del Centro re Abdullah, il patriarca di Babilonia dei Caldei, Raphaël Louis I Sako, aveva invocato dalle massime autorità musulmane la ferma condanna della violenza compiuta nei confronti di cristiani, yazidi e delle altre minoranze da parte delle milizie del Califfatto instaurato lo scorso anno da Abu Bakr al Baghdadi tra la Siria e l’Iraq. Intanto, sul fronte del dialogo interreligioso, è stato annunciato ieri che all’Incontro mondiale delle famiglie di Philadelphia del prossimo settembre parteciperà anche una delegazione dell’Iran, la cui vicepresidente Shahindokht Molaverdi è stata ricevuta l’altro giorno dal Papa. “Sono particolarmente lieto che ci sia stato questo incontro, perché non solo la delegazione iraniana mi ha invitato in Iran, ma ha chiesto di poter venire a Philadelphia e io ho subito accettato. La famiglia non è un patrimonio cattolico, ma è un patrimonio dell’umanità”, ha spiegato monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia.
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