Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia (foto LaPresse)

Per una popolare non clientelare

Redazione

Un’egemonia prolungata e incontrollata di una singola figura o gruppo di potere espressione di una minoranza”. “Amministratori impegnati in campagne elettorali con ovvi rischi di clientelismo”. Sono due passaggi piuttosto hard dell’audizione alla Camera di Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia.

Un’egemonia prolungata e incontrollata di una singola figura o gruppo di potere espressione di una minoranza”. “Amministratori impegnati in campagne elettorali con ovvi rischi di clientelismo”. Sono due passaggi piuttosto hard dell’audizione alla Camera di Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia, sulla riforma delle Popolari del governo Renzi; riforma che prevede l’abolizione del voto capitario e la trasformazione della forma cooperativa in Spa per gli undici istituti con attivi di oltre 8 miliardi. Contro il decreto, che concede 18 mesi per adeguarsi, sono in atto una guerra di trincea dei banchieri interessati, e una più rumorosa levata di scudi dei sindacati che hanno goduto di ampio potere concertativo attraverso la raccolta delle deleghe; nonché di un fronte politico che va dalla Lega alla sinistra radicale di Sel. Il leitmotiv è che le Popolari “servono al territorio”. Slogan che Rossi demolisce: “Le Popolari maggiori si sono allontanate dal modello di banca che concentri i prestiti in un territorio circoscritto e rappresenti una quota rilevante dei prestiti erogati in quel territorio; infatti esse hanno in media sportelli in sessanta province, vicino alle settanta delle prime tre banche italiane”.

 

Martedì in attesa di Bankitalia si è preventivamente armato, oltre al solito Stefano Fassina, anche Francesco Boccia, del Pd, molto vicino all’ex premier Enrico Letta e presidente della commissione Bilancio di Montecitorio: Boccia definisce “imbarazzante” il ministro Pier Carlo Padoan, e promette (a chi?) “modifiche nel senso di una riforma light”, insomma una non riforma, stile cacciavite lettiano; e scaglia sul governo l’accusa che mai guasta di favorire “gruppi d’interesse” e finanza d’assalto (semmai verrebbe da rigirare l’accusa a chi difende lo status quo delle banche definite da Rossi a “rischio clientelismo”). Via Nazionale afferma che l’obiettivo non sono risiko e aggregazioni, ma fornire capitali a banche che superano a stento i test patrimoniali. Certo che tra gli azionisti minori ci sono poi i fondi, i quali sarebbero magari pronti a comprare: ma perché tanta paura delle liberalizzazioni? Un conto sono le speculazioni intorno al decreto, con conseguente ovvia prurigine giudiziaria. Altra cosa è la difesa dell’esistente e di una concertazione bancaria dove si scrive territorio e si legge poltrone e vecchi recinti elettorali; quelli sì molto locali.

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