Italy unfit to protect Italy. Altri segni
Lo strano caso del capo di stato maggiore anti guerra e pro Mare Nostrum
Why Italy is unfit to protect Italy”, titolava il Foglio martedì scorso, spiegando perché il paese ha nel proprio attuale Dna (da quando è santificato dalla Costituzione) l’incapacità culturale di difendersi per via militare. Con la guerra. A stretto giro, la conferma al massimo livello: un’intervista al Corriere della Sera – principale quotidiano nazionale – del primo militare d’Italia, il capo di stato maggiore della Difesa ammiraglio Luigi Binelli Mantelli. Domanda del giornalista: “Si era parlato addirittura di un possibile nostro intervento militare in Libia…”. “Addirittura”. Ecco la risposta: “E perché mai? Le armi migliori si chiamano diplomazia e Consiglio di sicurezza dell’Onu”. Ora: può anche darsi che diplomazia e Nazioni Unite siano le armi migliori, fatto sta che l’ammiraglio comanda quelle che pare consideri le armi peggiori. E può certo esprimere la propria preventiva, ma non pubblica, opinione, poi però deve obbedire a governo e Parlamento.
Ma Binelli Mantelli il 28 febbraio lascerà l’incarico, tornerà “ai miei gatti, alla mia barca a vela, alla mia famiglia”. E cosa volete che siano dieci giorni di servizio. Del resto la sua maggiore soddisfazione è “lo sblocco degli stipendi dopo anni vissuti senza progressioni nella carriera”. I soldi servono a tutti, ovvio, anche alle stellette. Poi c’è il tempo per una frecciata al governo: meglio di Triton, per soccorrere gli immigrati c’era Mare nostrum. Ma un congedo non diciamo eroico, però un po’ meno calcolo della pensione, gatti e barca a vela può essere preteso dai nostri vertici militari? Pure nell’Italia “unfit” c’è chi all’uniforme sacrifica la libertà (Latorre e Girone) e la vita come i caduti italiani in Afghanistan, almeno questi giustamente ricordati da Binelli Mantelli.
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