Matteo Renzi (foto LaPresse)

Bicchiere mezzo pieno, ma un po' amaro

Redazione

Tre liberalizzazioni su quattro auspicate ieri dal Foglio sono andate in porto (notai, assicurazioni, taxi). La vendita di farmaci da banco o con ricetta di fascia C resta invece appannaggio delle sole farmacie.

Due liberalizzazioni su quattro auspicate ieri dal Foglio sono andate in porto: notai e assicurazioni. Non è consentita invece maggiore concorrenza nei trasporti urbani, vedi taxi vs. Uber. E la vendita di farmaci da banco o con ricetta di fascia C resta appannaggio delle sole farmacie. Avremo peccato di ottimismo augurandoci che il Consiglio dei ministri di ieri sui decreti attuativi del Jobs Act e sulle liberalizzazioni approvasse anche la vendita di medicinali per patologie di lieve entità, ma di larghissimo consumo (antidolorifici e antinfluenzali), anche in angoli dedicati della grande distribuzione e nelle parafarmacie, sotto la supervisione di farmacisti iscritti all’Ordine. Il provvedimento si è bloccato sulla soglia di Palazzo Chigi tornando al ministero dello Sviluppo economico che l’aveva sollecitato al pari dell’Antitrust. A brindare, oltre alle farmacie (che comunque, passo in avanti, si aprono alle società di capitali, primo passo contro le licenze bloccate), è Beatrice Lorenzin, titolare della Salute (“vittoria dei pazienti, soprattutto degli anziani”). Se un mancato risparmio per i consumatori tra 300 e 700 milioni l’anno è definibile “vittoria” dall’esponente del Nuovo centrodestra, al pari del considerare i pazienti e gli anziani (a nome dei quali esulta la Federanziani, i cui congressi sono casualmente sponsorizzati dalla Federfarma) come meno consapevoli degli inglesi, olandesi, tedeschi, norvegesi, danesi, i quali possono acquistare prodotti senza obbligo di prescrizione al supermarket, col controllo di specialisti. Da noi detta legge la famosa “fascia C”, prodotti da banco, come antidolorifici, e altri che richiedono la ricetta, come gli ansiolitici. Anche la liberalizzazione di servizi e concessioni nei porti cade per l’opposizione di un altro ministro “neocentrista”, quello delle Infrastrutture Maurizio Lupi, che rimanda a una “riforma più ampia”. Restano altre misure buone e necessarie: l’eliminazione dell’obbligo del notaio per le piccole compravendite, il via libera alla creazione di società di capitali per gli avvocati, finora avversata dagli albi professionali, la liberalizzazione del servizio di consegna di multe e atti giudiziari (oggi in esclusiva alle Poste), l’alleggerimento delle tariffe assicurative, l’abolizione delle penali per il recesso dagli abbonamenti di cellulari e pay tv, e dal 2018 del cosiddetto mercato tutelato per energia e gas: augurandoci che questo non dia luogo a offerte bluff ma apra le porte a una concorrenza vera, vedi la telefonia. Insomma, una bella sforbiciata come l’ha definita Matteo Renzi, ma non ancora una poderosa spallata liberalizzatoria, magari quella auspicata dall’Ocse che ne ha stimato l’effetto in 2,6 punti di pil (41 miliardi) in cinque anni. Anche perché si tratta di un disegno di legge che, per dirla con il premier, deve affrontare “le montagne russe” parlamentari.

 

Sul Jobs Act, invece, Renzi è andato dritto, respingendo le richieste sindacali e della sinistra Pd a cominciare da quella che ne chiedeva l’esclusione per i licenziamenti collettivi, un modo per far rientrare dalla finestra ciò che usciva dalla porta. Egualmente resta, oltre alla soppressione dell’articolo 18, anche quella del diritto a mantenere in azienda mansioni immutabili. La modalità comunicativa renziana ha dato la sensazione di rottamare, assieme ai vecchi contratti a termine – co.co.co, co.co.pro – anche lo spirito, “il modello di diritto del lavoro” che li aveva determinati: quello che risaliva alle riforme di Marco Biagi. Ma i contratti flessibili hanno a lungo salvato l’occupazione in Italia, come del resto i mini jobs quella tedesca, consentendo a molte aziende di tirare avanti, e a molti giovani di trovare lavoro. Non è stato solo precariato da gettare “nel pollaio”: lo dimostrano le assunzioni, a termine, delle ultime settimane. Così come la ripresa degli ordinativi industriali (più 4,5 per cento a dicembre), che per l’Istat dovrebbe ormai aprire le porte alla crescita. Un omaggio al giuslavorista ucciso dalle Br, alla cui memoria è intitolato il palazzo del ministero del Welfare, non avrebbe guastato.

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